In una sera d’estate bolognese calda al punto giusto, alcuni di noi scelgono di andare a riempire di felicità i loro cuori al Dumbo, per la seconda serata della super rassegna NOVA.
Il menù è delizioso e la serata abbastanza intima: il duo (ormai non più troppo) emergente King Hannah, che accompagna e apre il concerto di Thurston Moore e la sua band.
I primi salgono sul palco dopo tanta attesa e visivamente sono di una semplicità disarmante: al centro del palco Hannah Merrick e Craig Whittle indossano un outfit piuttosto invernale che ci fa sorridere e sudare al pensiero mentre siamo ammassati sotto la Baia.
In formazione da quattro iniziano a suonarci il loro recente album dal titolo accattivante I’m Not Sorry, I Was Just Being Me, partendo con A well-made woman, uno dei pezzi che sicuramente colpiscono di più.
Hannah, con la sua voce sensuale e la sua chitarra, sembra essere impassibile e timida ma allo stesso tempo aggressiva, si dà il tempo sulle labbra e rapisce subito il pubblico.
La voce e le sonorità ci ricordano quelle di PJ Harvey, o ancora quelle del trip hop anni novanta dei Portishead, come in Foolius Caesar, di Mazzy Star e Anna Calvi.
Il concerto prosegue con pezzi più lenti che poi diventano più spinti, come il singolo Big Big Baby, che il pubblico conosce bene e canta.
Ad un certo punto, il calore aumenta, il gruppo si scioglie e ci ringrazia sentitamente più volte per essere lì.
Dal pubblico le gridano “We are here, just for you!” e la Merrick si lascia andare al primo vero sorriso che fa trasparire tutta la semplicità e la voglia di essere lì.
Lo stile minimal è efficace e sicuramente ci farà ricordare di loro, che sono già molto apprezzati “nell’alternativo”.
Chiudono con It’s me and you, kid, sempre tratta dall’ultimo album, dando una spinta coi chitarroni che diventano prevalentemente rock e ci fanno scuotere le teste a ritmo.
Bravi, bravissimi, tanto sudore ma tanti sorrisi.
Poi una piccola pausa e ci ritroviamo sul palco della baia un’icona come Thurston Moore, con la sua band.
La chitarra à la Sonic Youth si sente già dall’inizio del live, che per i primi quindici minuti diventa psichedelico e molto rumoroso. Le parole sono assenti, è quasi tutto molto confuso, soprattutto se sei nelle prime file e hai quasi paura di perdere l’udito.
Thurston alza e sembra accarezzare più volte la chitarra quasi come per farci vivere sulla pelle le sue sonorità e riesce persino a scendere dal palco e “attraversare” la gente, in delirio.
Il live poi proseguirà in maniera diversa, con meno intensità musicale rispetto all’inizio. Durerà un’ora e un quarto e ci lascerà la sensazione di essere tornati indietro nel tempo, seppure con molta nostalgia per quel gruppo chiamato Sonic Youth per cui molti, me compresa, potranno dire che, nonostante tutto, non è la stessa cosa.
Tanti applausi, tanta gioia, per una serata sicuramente memorabile che abbiamo la fortuna di aver vissuto sotto casa.
foto di Elisa Magnoni