Live Report

Ti amo il giovedì sera – Lemandorle allo sPAZIO211

Avete presente l’intro di Sei un mito degli 883? No? Allora andate su Spotify e date una rinfrescata ai ricordi su come la gestivano negli anni ‘90.

Fatto? Bene. Immaginate quell’intro di tastiere in loop, la camera in disordine di un fuorisede e un giovedì sera qualunque a Torino, tutto questo condito con l’estetica e i mezzi tecnologici del 2019, l’affitto, l’affetto e la fotta.

Per essere precisi, la successione degli eventi è stata la seguente: dopo una doccia veloce ho scelto l’outfit, ho indossato la giacca della tuta in acetato, il cappello da baseball con visiera piatta, i pantaloni col risvoltino no, quelli non li sopporto, inoltre non ho calze interessanti da esibire fiero, infine ho messo nella tasca dei jeans lo smartphone e imbracciato la mia polaroid.

Un perfetto poser, lo so, ma vi anticipo che questa sera mi sono davvero divertito a interpretarlo.

Il giovane italiano, quando esce, vuole divertirsi, l’ho pensato per tutto il tempo mentre Lemandorle si esibivano sul palco dello sPAZIO211.

L’hanno pensato sicuramente anche Marco “lemandorle” Lombardo e Gianluca “BB Wilson” Servetti, mentre producevano La pizza il pop la musica elettronica, la loro prima raccolta di singoli usciti dal 2017 a oggi, con l’aggiunta di una manciata di hit radiofoniche ritmate e perfette.

Per un album era troppo presto, quindi nel frattempo hanno sfornato una raffica di singoli, un EP e oltre ottanta live in giro per l’Italia, il disco l’abbiamo aspettato fino all’alba del 2019.

Sono sicuro che Marco Lombardo l’ha pensato anche esattamente nel momento in cui, sul palco, stringendo a due mani il microfono tenuto in piedi dall’asta obliqua in direzione del pubblico esploso in un coro da stadio, ha iniziato a cantare Gelato colorato, e ha sorriso; un sorriso sornione dietro la barba da hipster, il cappello marinaio e/o scassinatore di appartamenti e gli occhietti a specchio tondi.

Il pubblico era completamente diverso da quello dei primi due live della programmazione Bonsai, sembravano arrivati tutti da Berlino, con quello stile assurdo che riesce a fondere perfettamente l’analogico e il digitale, tra tatuaggi, baffi, sneakers, cappotti acquistati in negozi vintage e cocktail in mano.

Nel frattempo il live si è trasformato in una vera ballroom, dove il pubblico ha cantato e danzato, il termine esatto è: si è divertito: a suon di Pizza pop e musica elettronica, Ti amo il venerdì sera, Le ragazze e Le astronavi.

La L colorata appoggiata sul banco dei Synth, del Mac e della consolle – torre di controllo di BB Wilson – a formare una sorta di angolo cangiante, si illuminava sui battiti del set di batteria elettronica e acustica di Leo, la new-entry del gruppo.

Devo ammettere che tra questo tipo di set ibrido e quello di Fractae, che si è esibito con basi elettroniche, synth e una chitarra elettrica raffinata, il live de lemandorle ha vinto.

Sì, perché ogni volta che ascolto un live set con basi elettroniche sembra che manchi qualcosa, pare sempre troppo sintetico.

“La Terra”, mi ha suggerito Federica la fotografa, quella vera, non come me con il modello nuovo di polaroid che in mano sembra un giocattolo: “Se vuoi far ballare la gente c’è bisogno delle vibrazioni africane, quelle che nascono dalle viscere della terra e ti scombussolano le budella” ha detto.

Ecco cosa manca, ho pensato. Condivido e aggiungo che questo tipo di emozione te la sa regalare solo una batteria acustica, oppure un sound system degno di un set dub jamaicano o di un free party tekno.

Senza nulla togliere a Fractae, che insieme alla band ha portato a casa una performance davvero interessante, ma più, se così si può dire, pettinata.

Paolo Caruccio alla voce, polistrumentista, produttore e autore dei brani, si muoveva sciolto sul palco, leggero come una farfalla e pungente come un calabrone.

Luca alla chitarra ha saputo creare un’atmosfera ambient straordinaria, nelle retrovie Jack Sapienza, musicista, produttore e youtuber conosciuto per la coppia Jack e Lo Smilzo, alla postazione rimica.

Spleen tropicale ci ha sedotto e sciolto sotto i colpi di un sole estivo in anticipo, mentre Torino è una droga ci ha cullato e fatto sentire per un attimo a casa.

La serata è iniziata con quelle foto analogiche che ci hanno trasportato  in un’epoca passata, mai vissuta per davvero, per farci assaggiare la nostalgia.

La nostalgia può scaturire da uno stato di infelicità o di insoddisfazione, che ci porta a desiderare di rivivere, anche solo per un attimo, ricordi reali o ricordi riflessi, che hanno connotazioni positive.

Ci riportano ad uno stato di gioia momentaneo, è la droga dei romantici.

L’essenza della nostalgia è quindi il ricordo, come una foto, ma non sempre è così. È interessante prendere in considerazione un tipo di nostalgia paradossale, ovvero quella di tempi lontani, mai vissuti per davvero.

Questi “ricordi riflessi” sono figli di una cultura pop che affonda le basi nel vintage. Affascinanti oggetti in disuso riprendono vita e danno la possibilità alle generazioni più giovani vivere oltre il digitale, per affondare radici nel suolo comune dei nostri antenati.

Diventa di primaria importanza la ricerca delle origini e di conseguenza l’affermazione dell’identità, come afferma Zygmund Bauman in Retrotopia, il suo ultimo saggio.

Le ragazze della pista
Sono esempi di velocità
Che mi annebbiano la vista
Ballo senza troppa tecnica
E ora giro per locali
Mi stupisce la puntualità
Delle mode musicali
Giro come un disco
Non mi fermo mai
Baustelle, La moda del lento, Mimo/Venus dischi, 2003

Quindi l’estetica della polaroid è perfetta per ballare la musica elettronica nuova del giovedì sera.

Uno scatto all’entrata, uno nel backstage, uno al palco e uno di gruppo, dopo il concerto, tutti stanchi e sudati e senza voce.

Ed ecco che la serata appena trascorsa è ricostruita, sembra passata una vita grazie a quelle pellicole sporche, imperfette, buie o sovraesposte, impossibili da modificare o sulle quali applicare filtri.

La polaroid non è più strumento da poser ma il mezzo perfetto per catturare la realtà, quella degli ultimi, veri romantici.

di Mattia Muscatello foto Federica Da Lio