Sono fratello e sorella. Affascinanti, esili, eleganti. Sarebbero i protagonisti perfetti per un fumetto manga o un cartone animato di successo degli anni ’90.
Invece si stanno costruendo una via di successo battezzandosi entrambi col nome della musica. Sono Carmine e Isabella Tundo, conosciuti al pubblico come La Municipàl.
Originari della provincia di Lecce, per l’esattezza di Galatina, portano in scena il pop d’autore, con sound dalla fruizione piacevole accompagnato da testi che hanno un sapore di caro diario, che parlano di quotidiano, sfide di vita vinte e, per semicitare il titolo del loro terzo album, di “guerre perdute”. Carmine (in arte Romeus) scrive, scrive tantissimo, così tanto che, come mi suggeriscono, ha in piedi altri progetti su cui lavora ed è uno a cui piace sperimentare. Isabella, tra un pezzo e l’altro, si è laureata in medicina.
Dopo aver vinto il Premio MEI, esser stati finalisti del Premio Fred Buscaglione e aver calcato il palco del Concerto del Primo Maggio, aver riscosso un buon successo con i singoli I Mondiali del ’18 e Italian Polaroid, i fratelli Tundo girano la penisola con il loro Cicatrici Tour, diffondendo il loro verbo. Sabato primo dicembre è stato il turno del live al Largo Venue di Roma.
Il live parte, dopo l’apertura di un in formissima Gigante per l’ultima data del suo tour, un po’ in sordina, anche per quanto riguarda la quantità di pubblico. Iniziano con Se potessi ti salverei dalla fine del mondo. Sono carichi ma non del tutto sciolti. Poi si continua con Vecchie Dogane. Tra Italian Polaroid e i due pezzi seguenti si cambia registro: loro sono molto più in sintonia con ciò che hanno intorno e, finalmente, la sala si riempie a dovere (eh, i soliti ritardatari!). La situazione è completamente full of love all’arrivo dell’Universitaria fuori sede e George (il mio ex penfriend), in cui il tutto assume un’atmosfera calda e familiare. Pensata eccezionale il loro lanciare dischi e magliette dal palco per il pubblico e divertente vedere la lotta per l’accaparrarsi l’oggetto del desiderio. I ragazzi sul palco si fanno voler bene. Continuano la loro esibizione con i brani del loro ultimo disco e si concedono pezzi più datati: nessuno di questi sfugge ai cori e alle cantate collettive dei presenti. Simpaticissimo il loro tagliar corto alla fine dell’esibizione: “questo è l’ultimo pezzo e tanto poi lo sapete che ci sono i bis”. Bis che, appunto, arrivano subito, tutto d’un fiato, e lì la situazione appare da comitiva a cena, un cantato di cuore e corale. Al termine del loro concerto, i componenti si sono mischiati alla folla, partecipando al resto della serata. Sono molto carini, hanno un ottimo senso dell’ironia e una propensione alla disponibilità, che spero non perdano mai durante il percorso alla via di un successo più ampio e dilagante che sicuramente si meritano.
Mi piace molto la copertina de Le Nostre Guerre Perdute: i due che si stanno per baciare a occhi bendati. Come se l’amore fosse effettivamente un gioco costante al perdersi di vista o come metafora del fidarsi senza se e senza ma, rischiando. Il giocare a sorte e affrontare la pericolosità emotiva del perdersi. E i testi sono molto malinconici, nonostante spesso il sound sia allegro.
È scontato accostare la composizione leccese ai Baustelle. Scontato ma credo evitabile. Pur essendone chiaramente alunni, si discostano da quel riferimento a livello di contenuti e di approccio alla scrittura. La parola è comunque ricercata, ma lo stimolo a farla venir fuori, nel caso de La Municipàl, è palesemente più sofferto: c’è la difficoltà della vita di provincia del Sud, la realtà che ne consegue, le separazioni e le rotture dovute alle distanze geografiche, al non potersi (ecco qui) vedere. C’è tutta la fatica di raccontare un quotidiano che è diverso da altre realtà in Italia. Spaccati di vicende che non cadono nel cliché, dove davvero è molto facile riconoscersi e immedesimarsi, per chi ha idea di che cosa significhino quelle scene raccontate, e di interpretazione e conoscenza, per chi non è cresciuto in quei paesi pieni solo durante le feste comandate: questo lo fa solo chi sa raccontare nel modo giusto.
Testo di Francescamaria Aiello e foto di Lorenzo Lanni