Live Report

|Live Report| Ministry a Villa Ada incontra il mondo

Ministry

Ministry – Quanto voglio bene a Villa Ada Incontra il Mondo? Quanto? Siamo, purtroppo, ormai agli sgoccioli degli appuntamenti al laghetto. E’ il festival delle meraviglie, indiscusso, con la sua offerta ha praticamente accontentato tutti.

È impossibile che qualcuno non abbia trovato almeno una serata interessante. Io, personalmente, avrei piantato la tenda direttamente nell’area ristoro. C’è un concerto per tutti e, oggi, primo agosto, è il turno degli amanti dei chitarroni, del sudore e dell’antagonismo: salgono sul palco i Ministry.

Sono considerati tra i fondatori, se non proprio gli stessi, dell’industrial metal, alfieri del cyberpunk, ispirazione di molti gruppi. La band statunitense Ministry è capitanata dalla presenza imponente di Al Jourgensen ed è fortemente connotata politicamente. Portano in Italia il loro ultimo album, “Amerikkkant”, che ci racconta, senza conoscere il verbo edulcorare, con impatto e rabbia, gli USA dell’era di Trump.

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Il pubblico, di età medio-alta, non è foltissimo, anzi, fino all’esibizione della band di apertura, i Grave Pleasures, direi quasi scarso. Mi spiace molto, perché mi aspettavo una risposta più entusiasta, a dire la verità. Ma, come si dice in questi casi, evidentemente siamo quelli giusti. A indicare quello che la band ci deve raccontare, dominano i due lati del palco due enormi polli gonfiabili dalle sembianze del poco amico Donald. Sono meravigliosi. Nell’arco della serata Jourgensen li prende spesso a pugni e a calci.

Mentre ci sparano addosso sia i pezzi del loro disco più recente sia alcuni più datati, tra noi parte il sacro pogo.

Che ne sanno quelli che non si devono sciupare i risvoltini? La poesia del sudore, delle ecchimosi del giorno dopo, della devastazione.

Dal palco partono diverse osservazioni sulla società, non solo critiche a Trump ma anche alle scelte del governo italiano, e raccomandazioni di stare lontani dagli oppressori, di opporci sempre ai fascismi e ai razzismi, ricordare chi siamo stati e, probabilmente così, conoscere meglio chi siamo.

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Un’esibizione totale, feroce, bella forte, di quelle che ti pestano. Momento topico, almeno per quanto mi riguarda, il turno di “Antifa”. Mentre va la sua esecuzione, sul palco volteggia la bandiera rosso e nera e la “A” simbolo dell’Anarchia, della quale questo brano ne è celebrazione.

Vorrei dare un quadro chiaro di questa serata: rispetto alle tipiche scene dei live, non campeggiano in alto alle teste più cellulari che sguardi. Eravamo davvero in pochi con lo strumento maledetto in mano. Accanto a me, per un po’, un ragazzo fotografa in modo quasi ormai sconosciuto, uno strumento ormai in disuso, infatti possiede una compatta digitale. Un’immagine del tutto romantica. L’assenza del massiccio uso del filtro visivo del telefono è comprensibile facilmente: non vi è tempo di pigiare tasti, di scrivere didascalie e fare dirette se si è impegnati nell’arte del prendersi a spallate e dello scuotere la testa a suon di vibrazioni.

di Francescamaria Aiello

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