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|Review| 20 + 20 per il 2024: la nostra playlist/classifica di fine anno

E come di consueto, a fine anno, torna puntuale la nostra playlist/classifica di fine anno con il meglio del meglio uscito in questi ultimi 12 mesi, secondo Loredana Ciliberto e Giulia Rivè.

Come accaduto negli anni scorsi le due playlist si incrociano con alcune scelte comuni tra le due redattrici. Da qui la possibilità di ascoltare più brani per ognuno dei dischi amati da entrambe. Un’occasione per ripercorrere il 2024 a suon di musica.

Ma quali sono questi super dischi dell’anno? Scopriamolo subito insieme.

GIULIA

Nel marasma della musica che esce ogni settimana è facile perdersi e sempre più difficile trovare la qualità. Per fortuna, tra i tanti singoli e nomi usciti, sembra che il 2024 ci abbia regalato un anno colmo di bei dischi, forse più dell’anno precedente.

Nella mia classifica di fine anno, tra i nomi italiani puoi leggere quello della magica Any Other e dell’ormai veterano Mahmood, così come le new entries Coca Puma e Lamante, quest’ultima col suo pop-punk che mi ricorda a tratti e con piacere gli esordi della cantautrice Maria Antonietta.

Ma non solo: la quota di napoletanità funk è rappresentata dai Fitness Forever, che in “A vele spiegate” vedono la partecipazione quanto mai azzeccata di Calcutta e che ci fanno volare ancora una volta verso quel filone ormai crescente (Nu Genea, Bassolino, Napoli Segreta…).

Andando ai vertici della classifica, un nome italiano su tutti: Mace. “MAYA” è l’emblema di un disco prodotto e composto da featuring riusciti in maniera ottima. Le collaborazioni di qualità riescono a rendere preziosi accostamenti che a primo occhio potrebbero sembrare persino improbabili (come la coppia Marco Mengoni-Frah Quintale in “Fuoco di paglia” o Fabri Fibra-Fulminacci). Gli arrangiamenti musicali, l’alternarsi di stili e voci diverse, e la loro rappresentazione live in un unico concerto tenutosi a Milano il 18 ottobre come gioia collettiva, lo rendono a mio parere uno dei prodotti più preziosi dell’anno.

Una menzione speciale fuori classifica la dedico a “È finita la pace” di Marracash, che elude e azzera le strategie di marketing e piomba in streaming all’improvviso alle 7 del 13 dicembre per turbarci gli animi di prima mattina. L’album contiene campionamenti di diversi brani, da “Uomini Soli” dei Pooh a “Lunedì” di BLUEM e la penna di un fuoriclasse, il migliore nel suo genere in Italia attualmente.

Parlando invece di musica internazionale, vi porto invece nel mondo di “Clouds In The Sky They Will Always Be There For Me” dei Porridge Radio, del pop rivisitato dei Vampire Weekend, della follia di “Chromakopia” di Tyler, the Creator, del soul di Brittany Howard e delle straordinarie riflessioni sulla natura umana e sul tempo accompagnate da violini di “Mahashmashana” di Father John Misty.

The Cure - Songs of a Lost World

The Cure – Songs of a Lost World

E poi il ritorno dei The Smile e dei The Cure che si contrappongono: il primo forse un po’ scarico rispetto alle mie aspettative, ma comunque apprezzabile con “Cutouts”, il secondo una vera e propria novità. Di questi ultimi, “Songs Of A Lost World” è un album piuttosto dark con intro strumentali di diversi minuti e un capolavoro di canzone, “A Fragile Thing”.

Non mancano altri grossi nomi: “Hit Me Hard And Soft” di Billie Eilish è una carezza (a tal proposito consiglio di godere del suo ultimo Tiny Desk), “TANGK” degli IDLES uno schiaffone. Per finire, nelle parti altissime della classifica, la purezza disarmante e commuovente di Adrianne Lenker, la sfrontatezza degli English Teacher (grande novità) e “Big Swimmer” dei King Hannah che non smentiscono mai il fatto di essere una super band.

Royel Otis – Pratts & Pain

Royel Otis – “Pratts & Pain”

Fino ad arrivare al secondo posto di “Pratts & Pain” dei Royel Otis (Royel Maddell e Otis Pavlovic), band indie rock australiana in netta crescita e dalle sonorità che ricordano talvolta gli Strokes. Da segnalare i brani “Fried Rice” e il coro ormai iconico “You’re so fucking gorgeous” di “Sofa King”. Spumeggianti, goderecci.

Dulcis in fundo, al primo posto incorono senza alcuna ombra di dubbio i Fontaines DC col loro quarto album “Romance”, maturo, perfetto; spinto in “Starbuster”, “Death Kink” e “Favourite”, malinconico in “In The Modern World” e “Desire”.
Grain Chatten, dopo il suo album da solista, ci regala un altro prezioso lavoro e lo ringrazio perché era proprio quello di cui avevo bisogno in questo 2024 controverso: “I don’t feel bad”.

  1. Fontaines DC – Romance
  2. Royel OtisPratts & Pain
  3. King HannahBig Swimmer
  4. MACEMAYA
  5. English TeacherThis Could Be Texas
  6. Adrianne LenkerBright Future
  7. Father John MistyMahashmashana
  8. MahmoodNei letti degli altri
  9. Billie EilishHit Me Hard And Soft
  10. The CureSongs Of A Lost World
  11. Lamante – In memoria di
  12. Tyler, The CreatorChromakopia
  13. Fitness ForeverAmore e Salute
  14. Vampire WeekendOnly God Was Above Us
  15. Brittany HowardWhat Now
  16. Porridge RadioClouds In The Sky They Will Always Be There For Me
  17. IDLESTANGK
  18. The SmileCutouts
  19. Any OtherStillness, stop: you have a right to remember
  20. Coca PumaPanorama Olivia

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LOREDANA

È stato un anno ricchissimo di ascolti per me il 2024. Era da molti anni che non riuscivo a dedicare tanto tempo alla mia principale passione. E nonostante le statistiche di ascolto delle principali piattaforme di streaming dicano che il trend sia sempre più quello dell’ascolto mordi e fuggi, per fortuna siamo ancora in tanti a prediligere l’ascolto di album interi.

Ritengo insomma che l’anno agli sgoccioli sia stato particolarmente fortunato, non solo perché mi ha permesso di ascoltare tantissimi dischi, ma anche perché tanti di questi dischi mi sono pure piaciuti molto.

Vorrei iniziare però con le esclusioni, che quest’anno mi pesano un po’. Perciò vi dico subito che nei primi 20 album avrebbero potuto sicuramente esserci i nuovi di: Disorientations, Cold Cave, Kim Deal, Empire of the Sun, Cage The Elephant, Still Corners, Deadletter, Wunderhorse, Whitelands, God Is An Astronaut, Future Islands, Girl in Red, Feral Family, Topographies, Post Nebbia, Clan of Xymox.

Allo stesso modo è stato difficile assegnare delle posizioni ai 20 dischi scelti, perciò premetto che anche chi trovate al ventesimo posto avrebbe potuto essere tranquillamente al decimo. E ancora peggio è stato decidere la vetta. E non tra due dischi, come immaginavo fino a qualche mese fa. Ma addirittura tra 5 titoli. È un po’ come se i numeri 10 e 9 fossero una terza posizione, i numeri 8, 7 e 6 una seconda posizione, mentre i primi 5 dischi è come se fossero tutti dei potenziali numeri 1. Poi tra questi cinque c’è stato comunque qualcuno che, a sorpresa, ha stravinto, conquistando la vetta. Vetta che ho deciso pensando a chi, negli ultimi mesi, continuo a riascoltare con sempre maggiore piacere.

Nella mia classifica, e nella playlist comune che stiliamo con Giulia, troverete dei dischi in comune, come succede ogni anno. Di solito ci troviamo d’accordo su tre titoli, quest’anno su quattro. La bellezza del nostro “duetto” penso comunque sia proprio quella della varietà dei gusti. In questo modo diventa possibile avere un quadro piuttosto ampio che comprende molti diversi generi. Alla mia attenzione verso quelli derivati dalla dark-wave, ad esempio, si aggiunge quella di Giulia verso l’indie italiano. All’elettronica e all’elettro-pop si aggiunge, altro esempio, il rap. Sul post-punk, invece, ci troviamo sempre entrambe e, infatti, in questa classifica due dei dischi comuni sono proprio quelli firmati dai maggiori esponenti del genere (Fontaines DC e Idles).

Idles - Tangk

Idles – Tangk

Quest’anno ci siamo trovate d’accordo anche sul grande ritorno dei Cure, che sono la band che ha segnato profondamente la mia adolescenza e la mia crescita, non solo musicale. Ho avuto la fortuna di vederli nel tour di “Wish”, nel 1992… Da allora, con mio grande dispiacere, non ero più riuscita a seguirli. Certo i live hanno continuato ad essere dei grandissimi spettacoli, ma i dischi avevano perso la forza dei loro precedenti. Ci sono voluti 32 anni, ma Robert Smith e soci sono riusciti a ritrovare la meraviglia che gli era propria. “Songs of a Lost World” è un disco monumentale, di quelli che solo loro possono realizzare. All’interno ci sono, per me, almeno 3 capolavori: “Alone”, “I Can Never Say Goodbye” ed “Endsong”. Tre lunghe cavalcate, tra i 6 e i 10 minuti e mezzo ciascuna, tutte da annoverare tra i loro più intensi pezzi in assoluto.

Altra scelta comune tra me e Giulia è stato il folgorante esordio dei Royel Otis, che con il loro “Pratts & Pain” hanno messo le basi per un promettentissimo futuro, davvero elegante e fresco. A parer mio, un altro esordio degno di nota è “Pools of Colour” dei londinesi Junodream. La band, che si auto-definisce “dream-rock”, ha già tirato fuori un nuovo singolo, “White Whale” che ci fa enormemente sperare in un secondo disco ancora più convincente.

Sul fronte italiano la mia top 20, e questo 2024 in generale, sono particolarmente avari. Non ho avuto grandi folgorazioni in casa nostra quest’anno, se non due piacevolissimi ritorni, quello dei Subsonica e quello di Paolo Benvegnù. Allo stesso modo dei Cure, penso abbiano entrambi ritrovato la loro migliore ispirazione e tirato fuori due album, rispettivamente “Realtà aumentata” ed “È inutile parlare d’amore”, finalmente di nuovo in linea con i loro migliori. (All’interno della nostra playlist ho inserito quel piccolo gioiellino che è il duetto di Benvegnù con Dario Brunori).

Un anno ricco di grandi ritorni quindi, come ad esempio quello di Gavin Friday con il suo “Ecce Homo”. Dopo 10 anni di silenzio, il leader dei Virgin Prunes (band storica della dark-wave anni ’80) è tornato sulle scene con un disco in cui le sonorità cupe, tipiche delle sue origini, si rinnovano e mescolano con l’elettronica più attuale. Un artista che, a mio parere, ha ancora molto da dire.

Avvicinandoci sempre più al mio podio, troverete le belle conferme di Arab Strap (“I’m totally fine with it don’t give a fuck anymore”, che meriterebbe un premio come copertina più originale…), London Grammar (“The Greatest Love”), STRFKR (“Parallel Realms”) e Diiv (“Frog in Boiling Water”).

Arab Strap – I’m totally fine with it don’t give a fuck anymore

E poi ancora una bellissima conferma, stavolta dal Canada, è quella di EKKSTACY, giunto al suo terzo disco, dal titolo omonimo. Un elegante mix tra rap melodico, post-punk e synth-wave, che ha confermato le grandi doti di questo giovanissimo talento. È suo il singolo del 2021 “I Walk This Earth All By Myself”, che ancora impazza su molteplici canali con milioni di streams.

Tra i miei preferiti dell’anno c’è anche “All Born Screaming”, il nuovo disco di St. Vincent che, a partire dalla copertina e dal titolo, racconta la forza di un’autrice, e in questo caso anche produttrice, che ha raggiunto una grande maturità artistica. Cupo e a tratti straziante, il disco è stato realizzato anche in versione spagnola senza perdere nemmeno un briciolo della sua grande incisività.

E per arrivare ai numeri uno, partiamo dai Soft Kill, band proveniente da Portland che in Italia non si fila nessuno… Vengono classificati anche loro come “post-punk”, ma le loro derivazioni sono davvero molteplici. Sicuramente legati alla dark-wave, ma con un’impronta molto personale e riconoscibile, confermata da questo “Escape Forever”.

Salendo ancora più su potrei dirvi che gli October Drift raccolgono la lezione dello shoegaze con una attitudine tra il post-punk e il grunge. Ma la band ha uno stile preciso, personale e potentissimo a cui sta stretta ogni classificazione. Come starebbe stretta a questo loro terzo disco, “Blame the Young”.

Tra le mie band feticcio degli ultimi anni, i bostoniani Dead Poet Society realizzano un rock grezzo e genuino, impreziosito dalla voce tagliente di Jack Underkofler. “Fission” è un disco pieno di brani tiratissimi e di grandissima resa live. Il loro concerto visto a Milano a inizio anno è stato, per me, tra i più belli e coinvolgenti del 2024 (secondo solo a quello di Chino Moreno coi suoi Crosses).

Volendo poi chiedersi se esiste la sintesi perfetta tra post-punk e dark-wave, io vi dico che sì, esiste. Questa portentosa sintesi si chiama IST IST. Il loro “Light a Bigger Fire” è per me un altro dei dischi dell’anno.

Fontaines DC – Romance

Fontaines DC – Romance

Sul mio podio, oltre ai già citati Fontaines DC, che continuo a sostenere siano il prodotto migliore dell’industria musicale degli ultimi anni, ci sono: “Faces on the Wall” dei Flagship e “Performance” di TR/ST.

Flagship è il progetto di Drake Margolnick chitarrista e cantante, proveniente dal North Carolina, che con questo disco ha voluto suggellare la chiusura di un difficile percorso artistico e personale, grazie al quale è riuscito ad uscire dal tunnel dell’alcolismo. La canzone che chiude il disco, “Save me”, reputo sia una delle canzoni più intense degli ultimi anni.

Drake Margolnick/Flagship 

Drake Margolnick/Flagship

TR/ST (si legge Trust) è, invece, il progetto del musicista canadese Robert Alfons, autore di un synth-pop che strizza l’occhio agli anni ’80, all’industrial e all’elettronica. Dal 2012 ad oggi è riuscito a creare uno stile personale e riconoscibile, sfornando dischi ricchissimi di hit, in cui melodia e ritmo si fondono alla perfezione con la sua voce nasale.

Mia menzione speciale, grazie al potente impatto dei singoli usciti e alla già matura esperienza live, per i Chalk!, che con molta probabilità ritroveremo nella classifica del 2025.

A voi non resta che premere play!

  1. TR/STPerformance
  2. Fontaines DCRomance
  3. FlagshipFaces on the Wall
  4. IST ISTLight a Bigger Fire
  5. The Cure Songs of a Lost World
  6. Dead Poet SocietyFission
  7. October DriftBlame the Young
  8. Soft KillEscape Forever
  9. St. Vincent All Born Screaming
  10. DiivFrog in Boiling Water
  11. EKKSTACYEkkstacy
  12. STRFKRParallel Realms
  13. London GrammarThe Greatest Love
  14. Subsonica Realtà aumentata
  15. Arab StrapI’m totally fine with it don’t give a fuck anymore
  16. JunodreamPools of Colour
  17. Idles Tangk
  18. Gavin FridayEcce Homo
  19. Paolo BenvegnùÈ inutile parlare d’amore
  20. Royel OtisPratts & Pain