Review

|Review| Il primo album solista di Cristiano Godano

Intimità. Semplicità. Onestà. Voglia di raccontare e raccontarsi.

Mi ero perso il cuore, primo album da solista di Cristiano Godano (frontman dei Marlene Kuntz) appare ad un ascolto distratto quasi “spoglio”, quando invece al suo interno si trovano arrangiamenti di certo essenziali, ma mirati a lasciare maggiore spazio alle parole e alle storie narrate, ai personaggi creati nei quali facilmente ci si può rispecchiare.

È un disco che ha preso forma lentamente, in circa tre anni, e che si allontana dal percorso fatto con la band, mettendo a nudo la vulnerabilità e la paura.

Cristiano Godano le descrive in modo tale da essere comprese a livello universale e cercando anche di far cadere le maschere e le menzogne create dalla nostra stessa mente, prendendo in considerazione elementi appartenenti alla quotidianità.

Sono canzoni che, come ha detto Cristiano stesso, a seconda di chi le ascolta, sono in grado di far nascere diverse suggestioni e sensazioni.

C’è un alternarsi di ballad, come ad esempio La mia vincita, uno dei pezzi più intensi del disco che racconta dei tentativi di uscire dall’intricato labirinto della mente, e pezzi con un ritmo più rock.

Panico ad esempio risulta più frenetica e veloce, per raccontare al meglio la tensione e il terrore, mentre Il lamento del depresso, basata su un continuo crescendo, riesce a essere coinvolgente ed emozionante per l’ascoltatore.

Particolari sono anche Ma il cuore batte, differente dai brani precedenti per via del suo sound vicino al country, e i due pezzi Padre e figlio e Figlio e padre, dove centrali sono i testi e le differenze nei punti di vista.

Turbamento e paura vengono descritti con chiarezza risultando fondamentali per far comprendere anche il messaggio dietro molte delle altre canzoni.

Cristiano Godano ci offre un album distante dalla produzione precedente ma di grandissima intensità, che racconta dei fantasmi e dei labirinti propri della mente di ogni uomo mostrandoli esplicitamente a chi ascolta, lasciando però aperta la possibilità di svariate interpretazioni personali.

Un lavoro molto bello e profondo, che live riuscirà ad essere ancora più emozionante nella sua essenzialità.

di Lucrezia Lauteri