Review

|Review| Il nuovo giardino di Her Skin

Scovato per caso nei meandri entropici e schizofrenici di Spotify, “I started a garden” è il secondo album di Her Skin, cantautrice modenese che oltre ad essere un vero e proprio talento è una ventata d’aria fresca per la discografia indie italiana

Sarà per quel cantato in inglese o per un songwriting davvero eccellente per una lingua di adozione, fatto sta che questo ultimo lavoro in studio di Sara Ammendolia (il vero nome di Her Skin) è davvero interessante.

Oltre a saper cantare e scrivere, anche le atmosfere del suono profuso da I started a garden sono decisamente ad un livello che non sfigura davanti alle produzioni di Phoebe Bridgers o alla scrittura di Alice Phoebe Lou e addirittura, se vogliamo esagerare con i paragoni, mi ricorda ambientazioni dei Big Thief.

Forse avrò uno sguardo limitato sulla scena indie italiana o forse le giovani cantautrici nostrane non hanno quella marcia in più per emergere dal calderone della scena italiana contemporanea, ma questo disco mi ha tirato fuori un grosso sospiro di sollievo.

E mi sono mangiato le mani quando ho scoperto (solo dopo) che è passata per Roma lo scorso ottobre per il Su:ggestiva Festival.

L’artista modenese, che definisce la sua musica “freak folk” e “faded punk”, mette insieme in questo disco nove tracce delicatissime e allo stesso tempo incisive, viscerali e intense. La chitarra acustica e un senso di velata malinconia regnano nella maggior parte dei brani, ma è a suo agio anche con pezzi più ritmati e carichi di suoni (ne sono un ottimo esempio Confident e Older).

I started a garden è un album completo e variegato, pur mantenendo una coerenza compositiva. Un giardino ricco di colori nonostante la patina di brina che, solo apparentemente, copre le essenze floreali alla base della musica di Her Skin.

Grazie per questo disco e speriamo di vederci presto dal vivo, se torni a Roma non mancherò di certo.

di Damiano Sabuzi Giuliani