Back Chat

30 anni sul Cammino di Santiago in bus

C’è da dire che solitamente mi importa poco della maggior parte delle cose. Diciamo che ci presto molta poca attenzione o che comunque non ho bisogno di un’esistenza barocca.

Eppure un giorno di fine aprile del 2017, nella ben poco amena località di Astorga, arrivai a desiderare che tutto fosse come si deve e che tutte le cose si incastrassero alla perfezione.

E l’ho fatto, come al solito, per puro egocentrismo con un pizzico di OCD (disturbi ossessivi compulsivi per la cronaca).

Francesco, boicotta Il Cammino di Santiago!

Esatto così. Io, le mie gambe martoriate e uno zaino pesante ci trovavamo nel bel nulla della Spagna, a due passi dalla Galizia. Pareva un quieto fine aprile, con sporadiche snevazzate e l’inedito particolare del me che si apprestava a compere i fatidici 30 anni. Da quel che mi è stato detto gli unici di questa vita, perché pare proprio che un’occasione simile avvenga soltanto una volta per ognuno. Anche nella mia, quindi!

Con la variante del Cammino. Il silenzio è il suo dolce suono, il nettare da cui gronda la serenità come da fameliche cosce di donna. Ma è quiete, assenza di musica. Note di ciò che mi attornia, come lo spartito musicale di un’anima che va e “suona” da umano.

Eppure non quel giorno. Non c’era una nota che non stonasse.

  • Hola compañero, inquieto? – mi bacchettava Armando da Lisbona.

Se solo avesse saputo che si trattasse soltanto di piccola e semplice, logorante e fascinosa, mesta e cupa e cazzo se lussuriosa, bella, fine, delicata e opprimente tristezza.

Quindi decisi che non poteva andare così.

Arrivederci Tristezza

Primo passo. Misi su le mie cuffie accartocciate a prendere polvere nello zaino. Le sfilai come fossero calze, sudici preliminari che avevano il compito di ricordarci quanto ci fossimo desiderati in quei molti giorni senza averle mai indossate, senza essermi mai concesso alla musica.

Ma non tornava nulla. Non traevo il solito giovamento dalla mia musica, tentai l’approccio con decine e decine di gruppi, generi e sottogeneri. No ai Negazione, no i Led Zeppelin, no i QOSTA, no Agnelli & co, nah Elvis Costello, figuriamoci Isis o Red Fang. Nulla, neppure un De André cacciato a caso tanto che iniziai a pensare di dedicare la mia vita e questi fottuti 30 anni a Enrique Inglesias e Pitbull.

Poi il vandalo eversivo che è in me e la mia ostentata voglia di paraculare l’infinito ottennero risposta.

Mi spiace mio caro intelletto
vattene a letto e dormici su
che forse il tuo mondo perfetto non è
perfetto come dici tu

Queste parole diedero vita al mio boicottaggio verso il Cammino, l’istituzione. Cambiarono la storia proprio come l’omicidio di Francesco Ferdinando il 28 giugno 1914 o la rivoluzione d’Ottobre.

Avvenne, Brunori subdolamente mi animò. La leggerezza nel suono come brezza e la potenza del messaggio dietro le sue parole mi diedero pugni in pancia fino a scambiare il mio dolore per un’indigestione di lentejas. Eppure avvenne.

Il suo Cammino di Santiago in Taxi divenne il mio Cammino in bus all’indomani, il fatidico dì. Tanto soffrivo come un martire e doveva pure essere possibile per me tornare ad annusare la decenza del volermi bene.
Vaffanculo allora il Cammino di Santiago.
Lo faccio sì, ma in tax… no dai facciamo in bus, altrimenti non avrò di che sfamarmi. Lo faccio ma con i piedi ben dentro la strada. Lo faccio come faccio la mia vita, cazzo!

Mangiai tortilla e leggerezza ché volevo provare a volare lassù, verso un manto stellato fatto di scelte belle e giuste. In quel luogo dove possa sapermi ascoltare se un giorno avessi voglia di cambiare, di ballare e di non leggere o lavorare. Laggiù dove non esiste il si deve fare ma un lo vuoi fare? Con Brunori che mi teneva la mano feci mia la legge del Cammino, giocando a chiedermi se lui quegli 800 chilometri li avesse davvero percorsi su un taxi giallo guidato da un Ernesto qualsiasi. Oppure solo un paio di chilometri tanto per dare il nome al suo lavoro o se, invece, fosse soltanto un incubo alcolico di una serata a base di peperonata.

E magari te lo chiederò quando avrò il coraggio di scriverti che quel giorno, nella località di Astorga, compivo 30 anni fra i dolori del corpo e del cuore, fra il male dell’anima e le lacrime della forza che ritrovavo dopo aver smesso di vivere per pensare. Ché mi accompagnava il tuo scusami ancora mio cuore se ho fatto l’amore senza di te quando trovai l’unico bar aperto che vendesse squallido vino in bicchieri opachi d’aloni, di ditate e d’umori ispanici. C’era la tua voce mentre ingollavo il Rioja, mentre brindavo con l’unico amico che poteva essere lì a vedermi a quel modo, anche mentre uno sconosciuto (ma chi lo è poi in Cammino, taxi o non taxi) mi offriva il peggior tiramisù della mia vita sormontato da una candela.

C’erano ancora le cuffie mentre piangevo e mi mettevo a letto sapendo di avere dentro la voglia di rinascere, magari un poco, magari non per sempre perché domani chissà.

Ma infine trovai la musica che mi spinse ad arrivare a Santiago, mentre zoppicavo e mi trascinavo. Contro ogni presupposto, contro la cabala e le scommesse, contro di me, nonostante canzoni che parlavano di un cammino in taxi mentre io camminavo.
Lento, come il piano che t’accompagna.

Questo divenne il segreto della leggerezza e della mia intensità.
Il giorno dei miei trent’anni festeggiati ad Astorga, in compagnia di Brunori Sas, del mio migliore amico e del tiramisù più disgustoso e nobile della mia vita innaffiato da Rioja di bassa lega.
Il giorno in cui barai sul Cammino di Santiago prendendo un bus.
Il giorno in cui mi dissi:

Arrivederci tristezza
oggi mi godo la mia tenerezza
arrivederci amarezza
oggi mi godo questa dolcezza
e domani chissà
e domani chissà