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Almost me, almost you, almost blue

almost

Incipit

Forse non scrivo di musica, ma scrivo assieme alla musica. Le mie parole, le mie situazioni narrate traccia dopo traccia e questa vita che non mi appartiene e che sembra soltanto una compilation di racconti. Io, che son nato per raccontarli.

Premo il pulsante play, cala il sipario sui miei occhi, si apre la voragine dei ricordi.
Silenzio in sala, oggi va in scena Almost Blue di Elvis Costello & The Attractions tratta dal disco Imperial Bedroom.

Racconto

Me lo sono spesso chiesto se non fosse proprio scritto in quel piccolo segno del destino. Me la son cercata, forse, creata, avvolta in quel velo di tristezza, nell’alone di malinconia che le versai nelle orecchie.

Fu la prima canzone che le feci ascoltare. E mi apparve subito chiaro che sarebbe finita in tragedia. Non si può donare a qualcuno il sentore di fine che trasuda da ogni nota che Costello ha cucito in Almost blue perché altrimenti è poesia, è un amore che sarebbe grande da scrivere e complicato da negare.

Lo ricordo alla perfezione quel marzo del 2008, un qualche giorno a metà mese, mentre 26 anni anni prima usciva Imperial Bedroom. Traccia numero 6, lei, che ti sfonda il petto, ti squarcia le ghiandole lacrimali, ti sventra e ti lascia lì, assopito nella mestizia.

Gliela feci ascoltare quando per non voler più vedere egoisticamente le lacrime che crollavano dai suoi occhi verdi le dissi che sarebbe stata la nostra canzone. E lo divenne, subito.

Ma dovevo esser pazzo, flirting with this disaster became me, dimmelo tu Elvis se fosse giusto aprire l’antro del proprio inferno, mostrarne il buio, dirle accomodati e affascinarla e rinchiuderla fino a farla urlare. Era scritto, per certo. Ma lo avevi fatto tu e il tuo dannato piano che violava appena la tua voce che continuo a sentire rotta dal dolore perché l’amore finisce, giusto Costello? L’amore finisce in un quadro almost touching, in una mezza verità che non è mai, se non un semplice quasi. E soltanto chi si scosta appena per mostrarsi alla luce a quel qualcuno capisce come quell’almost che ti ossessionavi a ripetere sia un fetido sentore di morte, una croce nel ventre, un velato sorridere marcio prima di lasciarsi riacciuffare dalle oscurità di queste nostre anima contorte.

Not all good things come to an end lurido figlio di puttana, che mi avevi illuso. E c’eri cascato anche te. Al cielo, al buio, a quel che siamo davvero, sono tre le cose a cui mentire non ti riesce neppure se di nome fai Elvis motherfucker Costello.

Tu e la tua anima da 2 minuti e 51 secondi, io che mi struggevo, lei che già piangeva. Ma te l’ho detto che era destinata ad andar così.

Le regalai tutti i miei quasi luccicati da tutti i tuoi almost e per un attimo, solo un attimo lungo 3 minuti le sussurrai che l’avrei raggiunta nella sua totalità. Ma mentivo. Ma non potevo. Non io. Io che faccio parte del tuo esercito, di questa schiera di non morti, col Red Label svuotato accanto e poche parole, poche, nere, quasi sempre vere.

Quasi, come me.

Quasi come te.

Ma al blue te la potevi risparmiare. Nessun quasi, solo gli occhi che si chiudono finché si spiegano quei pianti finora solo quasi sterili e in soffuso si allontana il sapore della tua voce. Della sua. Che non ricordo più.

Quasi più.

 

Francesco Trocchia