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Bon Iver @ Eventim Apollo, Londra, 05/03/2018

Bon Iver

E’un sottile fil rouge a collegare questa residency londinese dei Bon Iver – 8 date all’Eventim Apollo ad Hammersmith – a ciò che fu il contorno del folgorante debutto discografico, “For Emma, Forever Ago”: un luogo in cui rifugiarsi, un periodo difficile, il gelo.

Non è il Wisconsin, piuttosto una Londra travolta dalla tempesta siberiana denominata “The Beast from the East” ad ospitare questa serie di date, e l’ultima di queste rappresenta non solo simbolicamente il disgelo.  La scenografia appare come una foresta spettrale, una cornice di tessuto bianco che avvolge l’intero palco, tela perfetta per la tavolozza sonora dei Bon Iver.

A ribadire che nulla viene lasciato al caso, ad  la serata è “Woods”, tratta dall’EP Blood Bank (2009). L’intricato intreccio creato dalla sola voce di Justin Vernon sarebbe una mossa azzardata quasi per chiunque tranne che per il cantautore americano, creatore e Deus ex machina del collettivo. Il famelico e variegato pubblico accorso per questa serata conclusiva non poteva sperare in un’introduzione più spiazzante e da pelle d’oca.

L’estasi si fa poi corale con “Towers”, coi fiati a farla da padrona, e con una doppietta tratta dall’ultima fatica discografica 22, A Million: “666 ʇ” e “10 d E A T h b R E a s T”  aggiungono alla ricetta una ventata di bassi fino ad altezza sterno, e riescono nella  missione di dare una veste live a brani che su disco hanno carattere più sperimentale.

Quando tutti i presenti si illudevano di aver finalmente capito il percorso di questo live (tenendo conto che per certi versi questo è il primo vero tour europeo dall’uscita del terzo disco della band), ecco che Vernon e compagni spiazzano tutti con una versione acustica e in crescendo di “Calgary”, primo singolo estratto dall’omonimo disco del 2011. Un rework che trasforma ciò che è etereo su disco in una veste più umana, sporca e viva, un Neil Young dall’altra parte del confine. L’altalena emotiva non si è fermata con una “Creature Fear”, impreziosita da una coda folle in cui l’orchestralità dei musicisti americani dà libero sfogo a rumorismi vari.

La setlist proposta dai Bon Iver ha poi regalato una perfetta selezione da ogni era, con un leggero dominio da parte dei nuovi brani. Se nella tripletta “____45_____”, “21 M♢♢N WATER” e “8 (circle)” è chiara la volontà di esprimere la vena più d’avanguardia, a fare da contraltare la chiusura di set è affidata ai classici “For Emma”, “Flume” (con il supporto Phoebe Bridgers ad impreziosire la performance) e “Skinny Love”, unico genuino momento di singalong per il pubblico, per il resto rimasto religiosamente in silenzio a godere di uno spettacolo sonoro unico nel suo genere, oppure semplicemente scoraggiato dall’irriproducibilità dei falsetti di Justin. Il finale è quindi un tripudio di voci ad accompagnare l’unica vera “ballad” della notte.

Avaro magari di brani  ma non di emozioni, l’encore ha visto la intima performance del brano di apertura di 22, A Million: “22 (Over S∞∞n)”, preceduta da una chiosa di Justin Vernon sui motivi che hanno portato a questa serie di date in un’unica location, la voglia di ripagare quel pubblico europeo che aveva visto un intero tour cancellato nel 2017, e di farlo in un luogo che potesse portare un vasto pubblico ogni sera.

La legittima domanda che ci si pone quindi è se l’azzardo di suonare così tante date in un solo luogo – andando contro ogni classico standard dell’industria musicale – sia stato vincente o meno. I numeri sono dalla sua: 8 sold out su 8, scalette drasticamente differenti tra ogni data.

Scommessa assolutamente vinta, a maggior ragione se nel ritorno a casa risuona nient’altro che:

“So as I’m standing at the station, It might be over soon”.

 

Vincenzo Sorrentino