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[Novel] Il rock non muore, io sì – Episodio 1

 

Primo episodio

Ho quindici anni e la vita fa schifo

Ho quindici anni e la vita fa schifo. Ma lo fa per davvero, non ho mai creduto a quella storia della rabbia adolescenziale. O meglio, sì, forse è vero che quando sei adolescente odi tutti, vorresti sotterrarti insieme ai brufoli e l’autorità ti disgusta. Ma la vita non smette di fare schifo quando diventi adulto, e ora che sono adulto posso confermarlo. I problemi sono altri, la rabbia è la stessa. Ho più del doppio degli anni di quando questa storia è cominciata e posso finalmente tentare di raccontarla. Non so quanto sia vera, di vero c’è che sono ancora vivo e penso che nessuno ne sappia più di me sull’argomento, cioè sulla mia vita. Perciò, fidatevi.

Dunque, ho quindici anni e la vita fa schifo. Il mio compagno di banco, Ale, nonché migliore amico dai tempi delle scuole medie, è abbastanza fico. Io no, perlomeno non ancora, mi sento piuttosto sfigato, mai avuto una ragazza, mai fatto cose fiche come drogarmi o mezze rapine. Sì, forse una volta ho rubato qualcosa al mercatino dell’usato, ma, insomma, sono quasi morto di paura. I professori mi danno per perso, non è che vada male a scuola, ma non dico mai niente, sto lì seduto all’ultimo banco a pensare a chissà cosa. Da parte mia penso siano quasi tutti degli idioti. In classe parlo solo con due o tre ragazzi, i meno stronzi. Le femmine mi sbeffeggiano per la mia indole schiva sognando di fidanzarsi con i ragazzi dell’ultimo anno, che siano però iscritti a qualche società di canottieri – roba che alla mia fluviale città di provincia piace da matti. Ale, però, il mio compagno di banco, come vi dicevo è abbastanza fico e ha già un po’ d’esperienza con le ragazze, pure con quelle più grandi, almeno così dice e nessuno si è mai sognato di contraddirlo. Sta anche entrando in un giro losco di droga, di cui prenderà presto le redini. Non so perché siamo amici, forse perché quando non mi sento pressioni sociali addosso sono anche simpatico. Oppure, in fondo, è uno sfigato anche lui. È pur sempre un quindicenne come me, ma è nato all’inizio di gennaio, mentre io solo a fine settembre.

Ma poi uno a quindici anni che deve fare? Come si deve sentire? Boh, io non mi sento niente, né carne né pesce né niente, come direbbe John Fante; non ho più voglia di andare a giocare a calcio al campetto di cemento, ma non è che abbia molte altre cose da fare, se non immaginarmi fra qualche anno un po’ più fico. E poi perché dovrei diventare più fico? Non si diventa più fichi senza fare nulla per diventarlo. Ma io non so far niente: da piccolo seguivo una scuola di disegno, ma nessuno mi aveva mai detto fossi bravo, a parte mia madre, ma mia madre non fa testo. Per lei qualsiasi cosa di pseudoartistico facessi, purché rispettoso della morale cattolica, era straordinario. Conserva tuttora sulla parete della cucina uno sgorbio di pappagallo che disegnai in un momento di esaltazione infantile. Mio padre, invece, ha sempre recitato la parte del bastian contrario: cosa vuoi che possa combinare uno come te? Figurati se in questa famiglia può nascere un Picasso.

E tuttavia dentro di me sta nascendo qualcosa che non riesco a decifrare: una specie di impulso erotico, mai provato prima, a cui ho paura di abbandonarmi. Mi vergogno solo a pensarci. Boh, saranno gli ormoni. Da quando ho visto Pietro suonare Battisti con la chitarra, un pomeriggio al campetto, niente è stato più come prima. Quel giorno mi son detto che se fossi mai riuscito anch’io a suonare Battisti la mia vita avrebbe finalmente avuto un senso. Mi ricordo che quando si seppe della morte di Battisti, nel settembre del ’98, stavo passeggiando con mio padre per il corso e sotto la galleria un gruppetto di ragazzi suonava Acqua azzurra acqua chiara. Quanto avrei voluto saperla suonare anch’io. Mi sembrava impossibile. Anche perché non conoscevo nessuno che avesse una chitarra, almeno fino a quando non conobbi Pietro, che poi scoprii essere in grado di suonare una sola canzone. Poco male, intanto, per me, imparare a suonare la chitarra era diventata l’unica cosa che importava.

Passo il tempo a rimuginare sul da farsi, senza riuscire a prendere una decisione. Finché una sera, mentre mio padre è in sala a mangiarsi una mela davanti alla tv, mi faccio coraggio e gli dico della storia di Battisti, ficcandoci dentro anche i Beatles. Lui in macchina ascolta solo Battisti e i Beatles e magari Lucio Dalla, quindi magari… Certo, penso, forse non diventerò mai bravo, ma prima o poi una canzone di battisti la imparerò a suonare, no? Mi voglio impegnare. Ok ragazzo, fa mio padre, puoi prendere qualche lezione. Tanto, se non hai particolari ambizioni… Ma figurati, papà, che cosa vuoi che combini uno come me?  

di Malatesta