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|Interview| Lessness: l’oscurità grigia

Lessness conferma il suo oscuro percorso tra new wave e post punk, che si fa ancora più cupo in questo debut album pubblicato a febbraio dal titolo “Never Was But Grey”.

Lui è un amante dei gatti, e suona come se James Blake, Dave Gahan, Jon Hopkins, Interpol, Editors e White Lies suonassero tutti insieme un po’ ubriachi in una cover band dei The Cure.

L’effetto non è affatto male, e ne abbiamo parlato con lui in questa intervista.

Ti avevamo lasciato con lo scorso EP, The Night Has Gone To War, uscito praticamente un anno fa. Cos’è cambiato nel frattempo nella tua vita e nel tuo modo di comporre?

La mia memoria a breve termine non è molto affidabile, è un po’ flippata e tendo anche a confondere i sogni con i ricordi, perciò non so dirti cosa sia cambiato nella mia vita da un anno a questa parte. Probabilmente niente, forse tutto, la quotidianità morde forte e nasconde i cambiamenti.

Vivo nello stesso posto, lavoro nello stesso posto, il conto in banca è più scarso (vedi? man mano affiorano cose…). Lo studio si è ingrandito e il resto è personale!

Il mio modo di comporre è casuale, non ho una routine in questo senso. Per questo è in cambiamento continuo: a volte le canzoni nascono con la chitarra acustica, a volte seguendo semplicemente un giro di basso iniziale dal quale nasce il resto; a volte giochicchio con un beat e da lì nasce il tutto e a volte i brani nascono da una melodia che mi suona in testa per qualche giorno e allora sono costretto a buttarla giù, sennò non dormo più.

Rispetto all’Ep, è cambiato però l’approccio all’arrangiamento delle canzoni e alla ricerca delle sonorità. Questo dipende da quello che voglio dire nelle canzoni e da come vorrei suonassero, dall’atmosfera che vorrei ricreare e dall’emotività che permea le canzoni nel momento in cui sono in studio a registrarle.

Ecco forse l’emotività è il punto chiave.

 

Sbaglio o il basso è meno predominante?

Il basso è suonato e registrato in maniera differente rispetto all’Ep. Là il basso era più corposo e avvolgeva tutti i pezzi come il buio avvolge ogni cosa nella notte.

Nell’album il basso ha un suono più diretto e acido, è deputato a strumento melodico, più che di accompagnamento e lo suono su tonalità più alte. Le frequenze basse, nell’arrangiamento, sono occupate da un bass synth che dà maggiore pienezza al suono. In entrambi i casi comunque il basso ha un ruolo fondamentale anche se con intenzioni diverse.

“Never Was But Grey”, ci spieghi il titolo e perché hai un gatto un po’ arrabbiato in copertina?

Never Was But Grey è tratto da una frase del racconto di Beckett: ‘Lessness’.

Un racconto basato sul flusso di coscienza, che lavora più sul lato emotivo e nervoso del lettore che non sul lato intellettuale.

La frase mi colpisce perché mi riporta visivamente alle albe autunnali e invernali che caratterizzano il Trentino, dove abito, quando dal fondo valle e dal lago si alza una fitta nebbia che ammanta tutto il territorio e sembra che non ci sia altro che grigio attorno, che ti chiude lo sguardo e l’orizzonte che ti porta in un limbo incerto dove l’esistenza stessa del mondo è messa in dubbio.

Il gatto di copertina si chiama Izquierdo e mi concede di condividere casa con lui da ormai 12 anni, non lo fa volentieri.

La foto rappresenta esattamente il modo in cui mi guarda quando suono, e mi sembrava giusto condividerla con tutti.

Magari qualcuno si impietosisce per la mia condizione di indesiderato in casa, visto che in questi giorni mi guarda pure peggio, perché nell’ultimo agguato che mi ha fatto ha perso un dente.

Quanto c’è nel tuo progetto solista di Casa Del Mirto?

Casa del Mirto è stato un progetto importante per il mio percorso di musicista, come lo sono state altre esperienze di vita.

Di Casa del Mirto [in Lessness] non c’è nulla, se non il bassista. Il resto parte da presupposti compositivi ed emotivi diversi.

Perché un album e non un altro EP?

La formula dell’Ep non mi ha mai soddisfatto pienamente, mi lascia sempre l’idea di qualcosa di inespresso o di inconcluso, del resto lo stesso ‘The Night Has Gone To War’ potrebbe essere considerato un mini album visto che è composto da 6 canzoni originali, più in remix.

L’idea di album mi è più cara sia da compositore che da ascoltatore, perché ti permette di entrare maggiormente in sintonia con l’artista cogliendo l’essenza del percorso e dei riferimenti che hanno influenzato la nascita e la registrazione del disco e ti permette, lo dico da musicista, di condividere in maniera più completa e libera la tua visione.

E’ verosimile pensare che il formato album andrà a scomparire se continuerà la crescita della fruizione musicale via streaming e ci sarà un ritorno al futuro della produzione di singoli come negli anni ’60 con i 45 giri (questi sono i miei due cent sull’argomento, seppure non richiesti), ma resto dell’idea che un album sia il modo migliore per comunicare un’idea di percorso creativo.

Come nasce un brano di Lessness? Aneddoti dallo studio?

Come detto prima le canzoni nascono piuttosto casualmente, suonando la chitarra o il basso, giochicchiando con le basi o i synth, alcune canzoni nascono anche sotto la doccia quando mi improvviso cantante neo melodico.

Tutto fa brodo. Nel 90% dei casi la canzone è già nella mia testa quando entro in studio ed inizio la fase di registrazione.

Non sono un tecnico e non ho seguito particolari studi riguardanti la registrazione o l’utilizzo di software di produzione, pertanto, come per molte altre cose che riguardano la mia vita, tutto procede smanettando un po’ a caso su varie manopole tasti e bottoni finché non trovo i suoni giusti per la canzone che ho in testa.

Questo approccio ha vantaggi e svantaggi, il vantaggio di trovare comunque sempre qualcosa di originale, lo svantaggio che non riesco poi a ricrearlo a comando. Più che uno studio, in effetti, sembra il mondo di Oz.

Quanto ha influito tutta la corrente del post-punk revival (Editors, Interpol…) sul tuo progetto?

Direi che a suo tempo è stata un’epifania ed ha avuto un impatto molto forte sul mio modo di fare musica e di suonare il basso.

Ho adorato i dischi di Interpol, Editors, Bloc Party e tutti i gruppi che portano il vessillo dell’introspettività, come del resto amo i gruppi storici del post punk e della new wave come i Cure, Siouxie and the Banshees, Devo, Joy Division eccetera eccetera. Tutti questi gruppi hanno avuto e hanno tutt’ora forte influenza sul mio modo di scrivere musica e testi.

Che musica ascolti? Vai a concerti? Cambia il tuo approccio con la musica da musicista rispetto all’essere un “normale” ascoltatore? Come ascolti la musica?

Ascolto molta musica, anche se meno rispetto a qualche anno fa. Cerco di restare aggiornato sulle produzioni attuali, anche se mentre sto lavorando a qualcosa di mio tendo a non ascoltare mai troppa musica per non rischiare di ricreare poi in studio quello che sto ascoltando, anche in maniera involontaria.

Mi piacerebbe usare Spotify, ma non mi fa scegliere le canzoni che voglio, e allora resto un appassionato ascoltatore di vinili e cassette, pertanto mi trovo spesso ad ascoltare i grandi classici.

In particolare, recentemente, mi sono innamorato dei Cigarettes After Sex. Proprio ieri ho scaricato un Ep fighissimo da bandcamp di una band chiamata Riki, che ha 200 like su Facebook e se ne frega, giustamente.

Di italiano mi piacciono molto i We Are Waves e Makai. Sì, vado a concerti appena ne ho la possibilità anche se a Trento non è che ci sia un grande fermento, per il genere che io amo.

L’ultimo live che ho visto è stato The Niro in acustico, che è passato di qua.

Mi piacciono i festival: vado quasi ogni anno all’Ypsigrock, sono stato a Torino per le ultime tre edizioni del Club to Club e, vabbè che te lo dico a fare, sono andato a Londra ad Hyde Park per il 40esimo compleanno dei Cure.

E invece, che riferimenti letterari ci sono nel tuo album?

Nell’album sono finiti tutti i miei personali riferimenti letterari, come è naturale. Tutte le letture che faccio influenzano i testi ed anche l’approccio emotivo alla canzone.

In particolare, rispetto all’Ep dove l’influenza più importante era quella di Dylan Thomas, nell’album ci sono riferimenti a La terra desolata di T.S. Eliot, riferimenti a Raymond Carver, Bukowski, Calvino.

Un gran casino insomma, una fitta nebbia grigia, anche qua.

Chi è Lessness quando non suona?

[Lessness] quando non suona è un cavaliere inesistente, nel senso che smesso il basso, diventa Luigi Segnana, un uomo qualunque pieno di qualunquismi.

Progetti per il futuro?

Il futuro è promuovere il disco, fare dei live e cercare di farsi ascoltare il più possibile, anche molestando la gente per strada.

E poi rimettersi in studio a lavorare sul prossimo disco, che in embrione esiste già.

E sopravvivere al gatto.

di Smoking Area