Organizzare un evento di qualsiasi natura e associargli il nome di festival porta con sè delle responsabilità precise. Ci deve essere un tema, un pensiero logico nella sua costruzione, un’offerta che per non risultare scontata deve presentare al suo pubblico varie declinazioni di uno o più prodotti.
È una ricetta che nella sua amalgama non può prescindere di un ingrediente fondamentale: la coerenza. Escludiamo da questo ragionamento un aspetto fondamentale per la riuscita di un qualsiasi festival – la logistica e i servizi, e manteniamo il focus sulla direzione artistica. Gli astanti del 20° Festival della Castagna in Val Bregaglia troveranno una proposta che declina il frutto mangereccio del castagno in tante forme e combinazioni, associazioni con prodotti alimentari affini, ma con un centro di gravità che ruota chiaramente intorno al prodotto che dà il nome alla kermesse.
La costruzione di una line up per un festival musicale porta con sé una responsabilità precisa: creare/mantenere un’identità. Se nell’adolescenza siete cresciuti a pane e Arcade Fire, per il Primavera Sound il biglietto lo prendete anche un anno prima senza sapere chi suonerà. Una carta buona da un mazzo con più di dieci palchi siete confidenti che la pescherete.
Organizzare un festival con due stage nella stessa sala azzera l’aleatorietà. La cucina è unica, il menù che viene servito ha varie portate e nessuna possibilità di scelta per i commensali, o mangi o ti prendi una pausa sigaretta fuori.
In questa proposta Manifesto Fest si è sempre dimostrato un ottimo ristoratore. L’edizione di quest’anno apre venerdì 17 con la sperimentazione di Marina Herlop, sola sul palco se non con piano e drum machine. È un set fatto di note glaciali e boati di basso, melodie contorte, un canto in catalano che ricorda quasi la lingua inventata dei Sigur Ros. Non c’è una melodia che accompagna l’ascolto ma suoni vibranti, incisivi. L’entrée non è per tutti i palati.
A portare un po’ di distensione ci pensa Awesome Tape, che con il suo dj-set condivide la sua migliore selezione di eccezionali cassette dal continente africano. Ci fa immaginare sull’attacco quello che potrebbe essere un magnifico capodanno in quel di Addis Abeba e fa salire nella seconda metà del suo set una cassa più decisa, preparandoci il palato per la portata successiva, il live di Bruno Belissimo.
Mi concedo la banalità di esprimere la più scontata delle asserzioni in materia musicale, ma l’italo canadese ha effettivamente il ritmo nel sangue – con tanto di elettrocardiogramma in 4/4. Difficile non seguirlo su quello che è un set funky irresistibile.
Si sentono anche nuove sonorità legate all’ EP appena uscito, meno chitarroso e più synth, personalmente molto apprezzato. Il set di Belissimo è stato l’apice in termini di affluenza della prima serata del venerdì.
Una constatazione che condivido con dispiacere proprio verso chi ha deciso di alzarsi da tavola senza completare la degustazione, lasciata in mano al talentuoso ed eclettico Bawrut.
Il set del dj campano è stato una sintesi in chiave techno delle performance precedenti. Una cassa pazzesca che declinava sonorità world music in maniera incredibilmente eterogenea ma allo stesso tempo coerente. Peccato per chi non c’era.
Il secondo e ultimo giorno del Manifesto Fest è quello in cui si concentrano i pezzi forti, gli headliners. Si vede anche in termini di affluenza, con una sala che da mezzanotte in poi si è sempre mantenuta più che colma.
I sapori della serata sono molto più omogenei, molto più orientati verso la musica da club. Nathan Fake è perfetto nella timetable: ci fa scaldare le nostre dancing shoes con il suo classico stile molto sincopato e vagamente onirieggiante [aggettivo ancora in attesa di validazione da parte dell’AdC ma che rende meglio in questo contesto rispetto a onirico].
Nota di merito anche per le dissociate visual in bitmap con i pixel a quadrettoni che accompagnano il suo set; brutte ma molto coerenti in termini di match audio/video.
Le scarpe da calde si iniziano proprio a infangare con l’arrivo di Coco EM – punto di contatto con le sonorità della sera precedente – che assumono con la producer di Nairobi una chiave decisamente più jungle.
C’è un grande filo conduttore tra i set dei due artisti di cui sopra e il terzo che seguirà: l’amara conferma che la drum&bass è tornata di moda. Se di fatti un retrogusto di questa sonorità inglese anni ‘90 era percepibile nei due set precedenti, Kode9 rimuove qualsiasi incertezza, e mena forte con tutti beat a base di batteria&basso.
Gusto personale di scrive a parte, il pubblico del Festival lo segue in tutto il suo eclettismo.
Ci sono molti passaggi schizofrenici e nella sala la voglia di far festa è tangibile e coinvolgente tanto che, seppur non gradendola, mi sono ritrovato io stesso in prossimità del palco fino a chiusura, con sincero applauso finale. A volte a tavola, in buona compagnia, ti scopri a mangiare cose che non pensavi potessero piacerti. Complimenti allo chef.