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|Live Report| Main Square Festival 2018, Arras 6 – 7 – 8 luglio

L’estate nella regione Pas-de-Calais ha un suo appuntamento fisso ad Arras nella splendida Citadelle, patrimonio dell’Unesco. Un appuntamento che da 14 anni a questa parte non fa che migliorarsi. Signore e signori, let me introduce the Main Square Festival, tre giorni di divertimento, bellezza e passione per la musica.

Raccontare solo gli artisti e commentarne l’esibizione credo che sia riduttivo.    Raccontare delle impressioni che  scaturiscono dalla partecipazione a un evento lo trovo assai più stuzzicante. E la voglia di parlare di un festival come il Main Square soprattutto come esperienza, oltre il semplice elenco di artisti esibitisi, ha avuto il sopravvento.

Quello che più mi ha colpito di questo festival dal respiro internazionale è l’organizzazione e l’accuratezza con la quale ogni singolo dettaglio è stato gestito. La Citadelle è un piccolo gioiello nel cuore di Arras che paziente, ogni anno, apre le sue splendide porte per ospitare l’evento. E lo fa perché sa di essere trattata con il dovuto rispetto. Ogni sua parte non viene mai violata, certo un po’ di caos si crea sempre.  Però vedere in continuazione collaboratori del festival mantenere pulita quanto più possibile l’area, mi ha riempito il cuore di gioia. 

E lo spazio non era mica piccolino, considerando i due imponenti palchi (il Green Stage e il Main Stage), l’area camping, le zone con stand per bere, mangiare e rilassarsi e l’area vip. Quest’ultima si é rivelata la mia comfort zone, il luogo beato dove tra un’esibizione e un’altra tornavo a ricaricare me stessa e lo smartphone, già che c’ero. Mai mi era capitato di vedere un’area riservata agli addetti a media e stampa dove ci si può rilassare mentre si lavora. Ecco che la sensazione da piccola fiammiferaia ha fatto capolino in un battibaleno. Avevo gli occhi colmi di bellezza e gratitudine e desideravo che si notasse.

Dei tre giorni purtroppo il primo l’ho saltato, assente giustificata a causa di quella cosa che si dice nobiliti l’uomo.

E che mi ha fatto perdere nomi come Gojira, Queens of the Stone Age, Damian Marley, per dirne alcuni. Amici che ci sono andati sono ritornati con un’espressione inconfondibile sul viso. Un misto tra beatidutine e inebetimento che vuole solo dire una cosa: é stato divino.

Il secondo giorno prendo il mio bel treno da Lille Flandres al prezzo pattuito di 5€ tra il festival e la SNCF (società di gestione dei treni francesi) e mi dirigo verso Arras. Treno colmo, siamo seduti nei corridoi. Facce felici, facce di ogni età: la passione per la musica azzera gli anni di differenza tra noi. Sono le 15:00, cominciano le prime  esibizioni e la regione ci regala un caldo estivo da diversi giorni che meraviglia anche gli autoctoni. 

Con il mio francese di fortuna mi faccio amico un buttafuori che sorridente diventa il mio Caronte personale all’interno dei percorsi della splendida Citadelle. Ogni persona qui è un sorriso diverso e un gesto di gentilezza non dovuto, l’organizzazione del festival mi commuove ancora. A volte penso che si ricava maggiore piacere dalle situazioni quando si è abituati a essere sempre pronti al peggio.

I primi artisti che si avvicendano tra i due palchi sono nomi a me nuovi: faccio la spola per godere del powerpop dei lillesi Okay Moday,  passando all’indie inglese di Courteneers per ritornare al “pop depressive” di Black Foxxes. Pausetta con birretta d’ordinanza all’area vip e ritorno prontissima per gustarmi la sferzata di delicata aggressività di Wolf Alice, le linee sofisticate dei marsigliesi Kid Francescoli, il punk rock melodico di Basement. Rimango intrappolata dall folla che al Main Stage esulta per BB Brunes, formazione francese molto nota ai connazionali, dal pop rock poco pretenzioso e molto orecchiabile che mi ricordava i bei tempi di Plastic Bertrand.

 Ci siamo, é il momento dei grandi nomi.

Sul palco sale un serio e ingiacchettato Liam Gallagher, noncurante di una folla acclamante e di un caldo torrido. Come da copione fa notare che c’è qualcosa che lo infastidisce da parte del pubblico, ma devo ammettere che mi aspettavo di peggio. Qualche battuta inevitabile sui Mondiali – argomento sentitissimo durante tutti i concerti -, diversi pezzi del suo repertorio solista e molte chicche del periodo in cui non litigava tutti i giorni con suo fratello Noel. Ascoltare qualche pezzo degli Oasis dopo millenni è stato un regalo gradito dal mio lato perennemente nostalgico.           

Per vedere fino alla fine Liam Gallagher e mantenere il posto non troppo lontano dal palco mi perdo purtroppo Oscar & The Wolf. Il dispiacere si dissolve subito quando finalmente si presentano loro, con quell’eleganza che da sempre li contraddistingue. I Depeche Mode hanno solo qualche ruga in più ma, a parte questo trascurabile dettaglio, hanno una forza e una grazia che mi lasciano incantata. Dave Gahan balla, scherza, si muove sinuoso senza cenni di stanchezza. Stessa cosa si può dire per gli altri membri del gruppo. Soprattutto per Martin Lee Gore che ci regala un’impeccabile versione di “Somebody“, come se 34 anni dall’uscita del pezzo non fossero mai passati. Glitterati e instancabili, tra vecchie e nuove hit salutano il pubblico del Main Square Festival.

Stanca ma felice scopro i The Blaze che seguono quella linea di elettronica sofisticata che spopola anche in Italia, per poi saltellare un pochino con i ritmi più prepotenti di Feder e Boris Brejcha, godendo delle scenografie d’effetto che avevano entrambi sui rispettivi palchi. Prendo il treno speciale messo a disposizione per chi come me deve rientrare a Lille e mi metto a letto sognando ciò che l’indomani andrò a vivere realmente.

Domenica 7 luglio, il caldo non cessa, stordita e felice riprendo il mio cammino verso l’ultimo giorno del Main Square Festival.

Aprono le danze Youngr, Double T e The Hunna che riesco a vedere a malapena per via della calca inaspettata già dal primissimo pomeriggio. Sono artisti che sembrano comunque mantenere il filo conduttore della buona qualità, nonostante la diversità di generi. E rimango colpita anche da Loïc Nottet, cantante belga molto androgino e talentuoso che farcisce l’esibizione con ballerini e cambi d’abito in pieno stile pop star.

Passo al Green Stage e alla voce calda e possente di Tom Walker, per poi essere scossa dai ritmi grintosi di Nothing But Thieves. Girls in Hawaii allietano la birretta pomeridiana, che mi bevo distesa sull’erba, con il loro indie post-rock quasi sussurrato. Un riposo doveroso perché il primo grande nome della serata, almeno per le mie conoscenze, è quelli dei IAM. Non sono una grande fan del rap ma ho sempre stimato quello francese e loro sono un’istituzione. Marsigliesi, in attività dal 1989, li ho scoperti per caso nella colonna sonora del meraviglioso “La Haine” (L’odio) di Mathieu Kassovitz. Poi me li sono ritrovati citati più volte da uno dei miei scrittori preferiti, Jean-Claude Izzo, marsigliese anche lui. E sono stata felice di assistere a un’energica esibizione che conferma la fama che li precede. 

Sbircio un momento i Portugal. The Man al quale posso dedicare poco tempo perché ho la missione tipica di quell’orario durante il Main Square Festival: trovare un posto decente sotto il palco.

E stavolta era per vedere un artista che ero curiosissima di ascoltare dal vivo: Jamiroquai. Il quasi 50enne Jay Kay si presenta in tuta con un “cappello” che cambia colore e posizione. Un po’ fuori forma e affaticato, comunque ha sempre quel timbro di voce inconfondibile. Lo stesso che nel 1994, nonostante fossi ancora una bambina,  me lo fece amare subito. L’entourage di musicisti e coriste che si porta dietro è notevole in termini di numero e qualità, gli artisti ci deliziano con classici del passato e nuove avventure (che strizzano l’occhio ai ritmi latini) e terminano in grande stile.

Si corre verso una delle esibizioni più attese e forse più coinvolgenti, ovvero quella di Justice. Definiti da alcuni i nuovi Daft Punk, sono assidui frequentatori del Main Square Festival. Loro due appaiono minuscoli in mezzo a un’imponente e psichedelica scenografia fatta di video e luci. Ci “cantano” la ninna nanna più elettronica e bella mai sentita. Ninna nanna perché dopo di loro – più corretto dire contemporaneamente a loro – sul Main Stage c’è il rap di Orelsan, incaricato a dare il saluto finale. 

Mi immergo nel fiume di gente che corre verso la stazione per prendere il treno speciale notturno, lo stesso che mi ha portato verso questo speciale evento. Al quale non mi resta che dire senza ombra di dubbio ” on se voit l’année prochaine”.

 

Le foto sono una gentile concessione del Main Square Festival: