Live Report

Radiohead, Visarno Arena, Firenze, 14 giugno 2017

Un'immagine dei Radiohead alla Visarno Arena di Firenze

Un'immagine dei Radiohead alla Visarno Arena di Firenze

A poche ore dalla fine del concerto dei Radiohead, quando si è tutti incolonnati sulla A1 per quel gran genio della società autostrade che decide di fare dei lavori esattamente nella notte in cui 50.000 persone sono contemporaneamente in movimento intorno a Firenze, arrivano i primi articoli e resoconti “quotati” sull’evento. Tanta celebrazione, la perfezione in terra e nessun racconto.
Allora proviamo a fare chiarezza.

Thom Yorke e soci non credo abbiano mai avuto una sola impostazione, un unico modo di essere, ma tanti. A guardarli sul palco, anche da lontano, ci si rende conto di Johnny infinitamente perso nel suo mondo,  Selway e il suo metronomo cerebrale protetto dal resto del palco così via. Li hanno messi insieme, e ne è venuta fuori l’orchestra più influente degli anni ’00.

Durante le due ore di esibizione, la successione dei brani non è casuale, non è ricercata, ma semplicemente naturale, è quel “come dovrebbe essere”. Che poi è anche il tratto deciso e distintivo di tutti i veri, grandi artisti. Quello che suonano viene recepito dalla nostra mente esattamente come essa stessa lo concepisce, ma senza saperne il linguaggio.

E nel caso di specie, i Radiohead insegnano linguistica.

Il livello tecnico atterrisce, a tratti si riesce a distinguere i vari strumenti e le parti suonate da ciascuno, ma purtroppo la resa del sound in uscita dall’impianto non era assolutamente al livello della band, così come la location, senza dislivelli e senza maxischermo, era praticamente impossibile per due terzi del pubblico scorgere anche le sagome dei ragazzi di Oxford.
Organizzazione decisamente da rivedere, serve attenzione agli utenti e possibilità di partecipare, non di fare numero.
Quello che si percepisce è la vocalità di deflagrante Yorke, che rimane per distacco la migliore in circolazione, talento puro, viscere e incorporeità, così come la tenuta del tempo da parte della band; la precisione nelle battute dona un effetto di rilassamento ed abbandono meraviglioso.
Quando si parla di professionalità su un palco bisognerebbe mostrare un loro concerto. La chitarra di Greenwood contiene la storia della musica, è una sequenza di note che richiama nella mente decine di generi, e che messe insieme fanno il suo, cioè il suono dei Radiohead.
La performance migliore si è avuta probabilmente su “Idioteque”, c’è stata improvvisazione e creatività, una versione che ha stupito i palati più fini e dato quel senso di “cosa cazzo hanno fatto!“.
“Fake Plastic Trees” separa l’epidermide dal derma, spacchetta i cuori e li riaccoppia.
E se l’arpeggio iniziale di “P.A.” spariglia le carte, “2+2=5” e “Myxomatosis” dicono che l’età media biologica di chi è sul palco è di 22 anni.
L’equilibrio è a dominare, tra la dimostrazione di essere i migliori e i capolavori del passato.

Radiohead Visual

Radiohead Visual

Raffinato ed umile il visual, il cui tema preponderante è un mosaico sfasato della ripresa in camera fissa live sui musicisti. A tratti ispirato al cinema degli anni’30, come un focus in primissimo piano su un occhio di Yorke pre-montato, ha avuto una predominanza di colori freddi, dall’acquamarina al verde prevalentemente, salvo una spirale anni ’80 stile copertina di Blue Monday dei New Order su “Paranoid Android”.

Nota dolente, anzi disgustosa, il pubblico.

Abituati a “fare i tavoli” nelle discoteche come massima aspirazione del loro tempo libero, l’80% dei presenti deve aver speso i 70 euro di biglietto con la stessa partecipazione con cui si sceglie tra Tavernello o Ronco per il soffritto.
Incredibile la capacità, la voglia ed anche solo il parto dell’idea di passeggiare che trasportava i volti vuoti e spaesati di soggetti orfani del loro centro commerciale preferito.
La nonchalance nell’attraversare letteralmente tra le fila di persone in ascolto, urtandole e stupendosi di essere guardati male o rimbalzati di spalla.
Il chiacchiericcio costante, sguaiato, prende la forma di una tortura cinese, praticata da donne senza poesia che hanno trascinato uomini senza storia alle Cascine per stare in cerchio tra di loro, rivolti di spalle al palco, l’apoteosi della volgarità e della mancanza di rispetto.
Qualcuno, scrivendo per una testa nazionale, ha ricordato come spesso Yorke e soci hanno interrotto le loro esibizioni per richiamare all’educazione il pubblico, ed ha sottolineato come il comportamento apparentemente più conciliante e rilassato dei Radiohead sia un segno di maturità ed apertura.
Probabilmente era solo indifferenza e rassegnazione,  verso uno degli audience più maleducati di sempre, ed altrettanto andiamo vicini alla verità, peccando e pensando che il caro collega era tra quelli che ha visto il concerto in postazione privilegiata con la sensibilità e l’esperienza di partecipazione a concerti in giro per il mondo di suor Caterina da Belluno.

O magari ha proprio visto un altro concerto.

Per fortuna che c’erano dei figli, come mostra l’immagine di copertina, a ridare fiducia nell’umanità con il loro pretendere le spalle di un padre per scrutare quegli inglesi sul palco.
Anche sui controlli, tema purtroppo di attualità, c’è da sottolineare che, iniziato il concerto, personale e polizia hanno adottato la strategia del “va bene, va bene potete entrare da dove vi pare!” ignorando i settori d’ingresso e sommariamente scrutando le borse.
Emblematica una steward appoggiata al separa fila di ingresso controlli intenta a messaggiare e cingommare.
Safety.
Tornando sull’esibizione, la scaletta (25 brani e due ore di concerto) ha ripercorso l’intera carriera e il multiforme humus sul quale si è sviluppata, dall’elettronica alle ballate, dal post grunge all’etereo. Un quasi – best of di quella che è l’unica band che ha fatto storia nell’età contemporanea. L’effetto prodotto dalla sequenza dei brani è stato quello di un pugno chiuso che poco a poco si apre e mostra la meraviglia distesa nel suo palmo.

Due i bis, anticipati da un rauco, profondo e sensuale “Vuoi ancora?” di Thom.
Poi è solo “Karma Police”, finale a cappella e tutti a casa.

La scaletta di Firenze

Daydreaming
Desert Island Disk
Ful Stop
Airbag
15Step
Myxomatosis
Lucky
Pyramid Song
Everything in Its Right Place
Let Down
Bloom
Identikit
Weird Fishes/Arpeggi
Idioteque
The Numbers
Exit Music (for a Film)
Bodysnatchers
#1
You and Whose Army?
2 + 2 = 5
There There
Paranoid Android
Street Spirit (Fade Out)
#2
Lotus Flower
Fake Plastic Trees
Karma Police