Live Report

|Live Report| Ash @ Aéronef – Lille

Ash

Ash

In un venerdì sera uggioso metti un luogo – l’Aéronef di Lille –  emblematico della scena rock internazionale in città, aggiungi il nome di una band – Ash – che aveva avuto il suo discreto successo una ventina d’anni fa e mischia il tutto con un pubblico la cui età media varia dai 25 ai 50 anni: ecco come ottenere una perfetta serata in puro stile nostalgico-anni ’90. 

Non sono mai stata una grande fan degli Ash, ma ricordo con piacere quei pomeriggi infiniti della mia adolescenza passati a guardare MTV registrando videoclip. VHS zeppe di video pronti a distruggere le aspettative sulla musica che avrei ascoltato successivamente.

La fine degli anni ’90 era il momento d’oro del Britpop.

Band come Oasis, Blur, Suede, Embrace, Travis ecc. conquistavano le hit e i cuori della gente con la facilità con la quale in Italia i pezzi di Sanremo fanno altrettanto. In questo contesto si inserivano gli Ash, dei giovani dell’Irlanda del Nord dal viso pulito e dal piglio vivace in termini di sound. Partecipare a un loro concerto era un doveroso atto di onore nei confronti di un passato ormai defunto. Oltre a un meraviglioso tuffo nei ricordi adolescenziali.

 

Alle 20:00 puntuali – che il nord del mondo sia benedetto per questo – i lillesi Esplanades solcano il palco. Indossano una certa sfacciataggine, oltre che discutibili indumenti. Duo batteria-chitarra con un cenno di tastiera, Tim e Rémi sono un gruppo poco pretenzioso dalle sonorità alla The Strokes & co., condito di tanto in tanto con falsetti.

Mezz’ora di musica, pausa cambio palco ed è la volta di un secondo gruppo spalla, stavolta dai lontani Stati Uniti. I Social Animals sono giovani, simpatici e dimostrano subito una certa professionalità nell’esibizione. Sound pulito e deciso, hanno pochi pezzi ma suonano con un’umiltà e una contentezza pura che tra i musicisti ormai è una cosa quasi più unica che rara. 

E finalmente arriva il momento che la me adolescente stava aspettando: cantare a squarcia-gola “Oh Yeah“, “Burn Baby Burn“, “Girl from Mars“.

Tim Wheeler, Mark Hamilton e Rick McMurray salgono sul palco tra applausi e sobri schiamazzi del pubblico. Anche il viso da eterno giovane di Tim Wheeler è invecchiato: stento a riconoscerlo. L’acustica sotto al palco non è mai delle migliori, ma riesco a ritagliarmi la mia fetta di felicità coccolata da quella musica che non sentivo da ormai troppo tempo. 

Per un attimo ho provato quel brio adolescente spandersi nel corpo. Ho sorriso tra me e me per quel “peccato” che mi stavo concedendo. La paura era quella di annoiarmi nell’ascoltare una musica che appartiene a un periodo ormai passato. Ma in nome di un romantico senso del “perché no?” bisognava che mi dessi una chance. Chissà se la me del passato sarebbe orgogliosa e soddisfatta di questa mia “bravata”.

Gli Ash sono sorridenti ed emozionati come ragazzini per stare celebrando le nozze d’argento della loro carriera – Wheeler tiene a specificare che si tratta realmente di 28 anni, contando anche quelli “ufficiosi”.

Sebbene l’evidenza del tempo che passa si noti sui loro volti, la loro musica non sembra soffrirne. Sempre sul pezzo, ci deliziano anche con brani del loro ultimo lavoro –Islands – che mostra la loro coerenza col passato pur abbracciando sonorità più contemporanee.

La serata scorre, Mark Hamilton intrattiene il pubblico con le sue trovate, frutto della sua creatività mista alle sei birre che stava scolandosi con nonchalance. Per un momento lo abbiamo anche visto continuare a suonare in groppa a un malcapitato del pubblico. Tra l’altro il basso di Hamilton aveva tre corde e per tutta la sera mi sono chiesta se si trattasse di una scelta  stilistica ostentata con sicurezza oppure mera necessità.

La band di Downpatrick chiude la serata con due bis che non soddisfano le richieste dirette del pubblico, ma che comunque vengono apprezzati dalla gran parte dei presenti. Mi guardo ancora intorno per vedere i volti e le espressioni di chi come me era giunto lì per curiosità mista a interesse. Quello che vedo sono soddisfazione e compiacimento per il bel concerto visto: l’ennesimo “esperimento-nostalgia” è andato a buon fine. 

di Ilaria Sgrò