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|Review| Una patina di nostalgia su un universo da scoprire: ecco a voi t vernìce

Si può dire che una delle sfide più difficili per un artista sia quella di trarre ispirazione da ciò che già esiste ed elaborarlo in modo inedito; qualcosa che ricorda un sapore che già conosci ma che ha un gusto tutto nuovo.

 Ed è forse in questa abilità che più spicca il talento di t vernìce, giovane cantautore la cui musica è una commistione originale di influenze diverse, che vanno dal pop psichedelico alla scuola cantautorale italiana a cavallo fra gli anni ‘70e gli anni ‘80

Nel novembre 2021 esce il singolo plastica, seguito da pianura padana, pubblicato a gennaio 2022: due antipasti che hanno preparato il nostro palato al primo EP di t vernice, bestof2020, pubblicato per Needn’t, una fotografia istantanea del suo mondo racchiuso in sette comode tracce.

Era quindi giunto il momento di farci una chiacchierata, di capire qualcosa in più su passato, presente e futuro di questo progetto così interessante e diverso dal resto.

Noi di Futura 1993 abbiamo fatto qualche domanda a t vernìce in occasione dell’uscita di bestof2020.

Ciao! Partiamo dalla domanda più scontata, una delle prime che salta in testa a chi si imbatte nel tuo progetto: perché questo nome? Perché t vernìce?

Ciao! Un toscano ubriaco mi ha chiamato vernice per sbaglio e in quel momento stavo cercando disperatamente un nome per il progetto. Ho aggiunto la t che sta per Toni, perché Toni Vernice fa molto Tony Vernice italo americano che ha una ferramenta a Little Italy. L’accento è a caso.

Quando hai capito che la musica era la strada giusta da percorrere?
Non l’ho mai capito del tutto in realtà, si naviga a vista, pieni di dubbi e paranoie e con la prospettiva di appendere la chitarra al chiodo che è sempre dietro l’angolo.

Quel poco che ho capito l’ho capito quando mi sono reso conto che volevo smettere di suonare per me stesso e che volevo suonare per provare a fare qualcosa di bello.

Che è poi la fonte dei dubbi sul perché si fa musica che è una domanda veramente complicata.

Abbiamo decifrato il tuo nome d’arte, ora decifriamone un altro: il nome del tuo EP d’esordio, bestof2020, a cosa lo dobbiamo?
È letteralmente un best of di miei brani scritti e prodotti prima della pandemia, senza dietrologie. Manca due euro, la canzone della moneta, che fa già parte del disco/compilation Hanami per AsianFake.

bestof2020 è fuori da poco più di un mese. Come ti senti? Ce lo fai un bilancio a caldo?

È stato un disco molto dilatato, sia nella scrittura e produzione che nei tempi di uscita. Questa cosa da un lato chiaramente ti affligge, dall’altro ti aiuta a “uscire fuori dalle canzoni”. Io adesso sono uscito da queste canzoni e me ne sto andando da un’altra parte.

Nell’EP si potrebbe dire che uno dei fili conduttori sia quello della nostalgia, un po’ da tutti i punti di vista: nell’idea generale del progetto, nei temi trattati e nelle sonorità. Pensi che questa sia la cifra della tua musica o è qualcosa che appartiene esclusivamente a questo EP?

Sì, la nostalgia è uno stato d’animo che mi ha ispirato abbastanza e che continua ad ispirarmi molto nella scrittura. Sicuramente in questo EP mi sono lasciato andare molto (il me dell’epoca) con i testi in atmosfere nostalgiche molto intime, che oggi mi sembrano anche “esagerate”.

Sto cercando di interpretare una nostalgia più universale che particolare nei pezzi che sto scrivendo adesso.

Per quanto riguarda la musica credo che sia impossibile non provare nostalgia per la musica dei decenni passati, ma io credo che anche negli anni 80 ci fosse nostalgia per i tempi del rock and roll, e così via fino ai canti gregoriani.

Hai raccontato che i brani dell’EP, ad inizio 2020, erano già stati scritti, prodotti, mixati e masterizzati. Ti rivedi ancora pienamente in tutti i brani?

Sarò sincero: no. Penso però che sia una cosa stimolante e giusta per uno che prova a fare musica. Alcuni prima dell’uscita li reputavo ormai ai limiti del cringe, ma il mio entourage la pensava diversamente. Sono molto contento di aver utilizzato la parola entourage in questa intervista, vi ringrazio per avermi dato questa possibilità.

C’è un brano a cui ti senti particolarmente legato? Se sì, perché?

Sono affettivamente legato a tutti questi brani perché sono stati dei figli sfortunati che per due anni sono dovuti restare a casa a giocare a playstation invece di uscire a giocare a pallone.

Sto benissimo è il figlio maggiore, il primogenito, e anche un brano ri-arrangiato otto volte quindi quando finalmente è uscito la mia reazione è stata simile a quella dei papà allenatori di baseball in alcuni film americani che dicono «figliolo, sono fiero di te».

In plastica riesci a parlare con grande naturalezza insieme di amore e di cambiamenti climatici. Il pianeta ci dà prova, con sempre maggiore forza e frequenza, che stiamo raggiungendo un punto di non ritorno. Tutto questo ti preoccupa? Credi nel ruolo di sensibilizzazione della musica e dell’arte in generale su questo fronte o pensi che siamo senza speranza?

Sì, quello che mi preoccupa è più che altro il sentimento diffuso di imminente apocalisse che rende molte persone, fra cui spesso anche me, ciniche e disilluse rispetto a questo tema.

Questo stato d’animo unito a pandemie e atmosfere belliche inquietanti porta spesso le persone, e quindi le persone che fanno arte, a chiudersi nel proprio guscio individuale.

Più che “sensibilizzare”, che è una parola un po’ ministeriale, secondo me l’arte può essere utile a porre un tema universale (come anche quello ambientale) da un punto di vista particolare.

Il tuo stile è qualcosa di diverso nel panorama musicale italiano attuale, l’originalissimo risultato di una serie di influenze che spesso vengono da lontano. Ci racconti quali sono gli artisti che più ti hanno influenzato nella tua crescita artistica?

I miei ascolti da “utilizzatore” sono abbastanza sconfinati, anche confusionari se vogliamo. Parlando però di quello che si è più riflesso nella mia musica e in particolare in questo EP, semplificando, ci sono due mondi che si sono incontrati: quello di Battisti, dei Carella, di Pino Daniele, Luca Carboni (anche Vasco perché no, e molti altri) in generale del funk 70/80 applicato alla scrittura e quello di un certo pop lofi dei vari Mac DeMarco, Connan Mockasin, Mild High Club, e così via.

C’è anche, poi, una punta di ironia che viene dagli Skiantos, dagli Elio e Le Storie Tese, dal Bugo del 2003, Babalot, Camillas, X-Mary, e via discorrendo.

Ah, ci sono infine gli assoli di chitarra elettrica un po’ tamarri, perché tutti devono sapere che nasco chitarrista e che vorrei essere come Alex Britti, che è un chitarrista formidabile.

di Pietro Possamai     

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