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Bittersweet Symphony compie 20 anni

Un immagine del video di Bittersweet Symphony

Un immagine del video di Bittersweet Symphony

Si sta, come Richard Ashcroft, in Inghilterra, sul bordo del marciapiede, cantando Bittersweet Symphony.

Potremmo riassumere così il capolavoro dei The Verve, partendo dal suo videoclip?
Forse si, ci proviamo, ma prima dobbiamo fare ordine nelle domande che si potrebbero affrontare.

Cos’è successo in questi 20 anni di bittersweet symphony? Cos’è cambiato? C’è ancora Taratata con Silvestrin?

Con calma si potrebbe dire che intanto la band si è sciolta.
Ashcroft è alle porte di un tour da solista con un disco che poteva forse risparmiarsi, così come molti dei suoi coetanei e colleghi dell’epoca d’oro del britpop.
Il punto è che forse, nonostante l’imprinting commerciale delle ultime iniziative degli scontrosi amici di Richard, questi recano in se un modo diretto, estremamente povero di fronzoli, di comunicare.
L’orchestrazione d’archi di “Bittersweet Symphony” è forse tra i riff (termine inappropriato, è vero) più conosciuti dell’universo insieme all’Inno alla gioia, ma non è quello che l’ha resa un brano invincibile.

E’ il suo testo ad avere evangelizzato milioni di persone, che puntualmente ad ogni ascolto ritrovano se stessi più forti, più decisi, più pronti a rischiare.

No change, I can’t change, I can’t change, I can’t change,
But I’m here in my mold, I am here in my mold.
But I’m a million different people from one day to the next
I can’t change my mold, no”

Nel rifiuto del cambiamento sta l’accettazione dello stesso.
Concetto complesso da spiegare, meglio restare sul coraggio che in ogni difficoltà è riuscita a diffondere Bittersweet Symphony.
Ma in questi vent’anni l’Italia non è ancora riuscita ad essere in grado di organizzare grandi eventi. Le due date italiane dei Radiohead sono state un fallimento totale, tolta la classe della band in oggetto.
La cura del pubblico dovrebbe essere il chiodo, il tarlo nella testa degli organizzatori, concentrati invece sulle banconote da sfilare di tasca.
Quello che rende un posto magico ed un concerto indimenticabile è soprattutto come lo si vive, e dal 97′ ad oggi non è cambiato nulla.
E’ cambiato che i concerti non solo sono organizzati male ma anche in numero sempre minore.

Taratata no non c’è più, Silvestrin ripropone dialoghi nelle fiction, e molti di quei sogni sono andati perduti.

Sono stati però raccolti da altri, attraverso i voucher, il gratis e in molti modi poco dignitosi.

Musicalmente qualcosa che unisca qualità e diffusione capillare non è stato negli anni 00, troppe battaglie perse per far sopravvivere l’immaginazione.
L’importante è chiodo in spalla, continuare ad andare dritti, urtando un pò tutti quelli che vogliono infastidire il percorso, e farlo con decisione.

Non c’è male, non c’è cattiveria in chi va per una strada, soprattutto se bellissima.