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Greta Van Fleet, tra classic rock e il dirigibile più celebre della storia

Quando ho detto in redazione che avrei scritto qualcosa sui Greta Van Fleet, la prima reazione è stata: “ma chi quella cover band dei Led Zeppelin”?

È da questo  assunto  che parte la riflessione  che leggete.

 Mettiamo subito  2 cose in chiaro:

  • chi scrive è un super fan degli Zeppelin;
  • chi scrive non vuole ergersi a difensore dei Greta Van Fleet.

Questo post in realtà è frutto di un pensiero articolato che ho iniziato a fare da quando il fenomeno Greta Van Fleet è esploso e – quasi in contemporanea – sono esplose (legittime) critiche circa il fatto che la band del Michigan fosse (troppo) simile alla storica band inglese.

Badate bene, tra gli addetti ai lavori di questo aspetto se ne discute da diverso tempo, ma solo pochi giorni fa i Greta sono usciti con un vero e proprio disco, Anthem of the Peaceful Army, e quindi il bubbone è esploso (di nuovo).

In questo articolo non voglio mettere in discussione l’indubbia somiglianza tra i 2 gruppi a partire dalla voce di Josh Kiszka praticamente uguale a quella di Robert Plant, tanto da mettere in difficoltà i fan del dirigibile più sfegatati (questo video, molto diverte, lo dimostra).

Né tanto meno voglio mettermi a fare l’esegesi delle differenze: la pronuncia e l’accento di Josh è differente da quella di Robert, così come non sono minimamente equiparabili la struttura della chitarra solista di Jacob con quella di Jimmy Page o la potenza della batteria di Daniel Wagner con quella di Bonzo.

Vorrei far riflettere però su alcuni aspetti.

Scopiazzature, somiglianze e addirittura i plagi nel rock’n’roll ci sono sempre stati. Gruppi storici hanno addirittura, nel tempo, copiato se stessi pur di rimanere al vertice: ne sono un esempio gli AC/DC sia nel passaggio da Bon Scott a Brian Johnson sia nella lunga carriera da Back in Black in poi.

«Alcuni dicono che abbiamo tredici album e che sembrano tutti uguali. Non è vero. Abbiamo quattordici album che sembrano tutti uguali.» Angus Young

Per fare un altro esempio: Slash nel progetto – ormai arrivato al terzo capitolo – con  Myles Kennedy e i The Conspirators copia spudoratamente i Guns N’ Roses sia nella struttura delle canzoni sia nelle sfaccettature vocali di Kennedy/Rose.

Nonostante questo il progetto è talmente ben fatto da risultare quasi originale nel 2018. Inoltre Driving  Rain lo annovero tra i migliori singoli rock dell’anno in corso (…so far).

All’inizio della sua carriera negli Interpol, Paul Banks fu accusato di scimmiottare (troppo) la voce di Ian Curtis tanto che nel tempo, e nei vari dischi, ha cambiato modo (e stile) di cantare sia in studio che durante i live. Voce, tra l’altro, simile a quella di Tom Smith degli Editors (e anche su questo si è detto molto).

Insomma questo per dire che nel Rock le somiglianze ci sono sempre state, da Chuck Berry in poi, ma non per questo un gruppo deve essere bollato per la sua poca identità o originalità.

Giovanni Ansaldo, su Internazionale, in un articolo dal titolo “L’inutile nostalgia dei Greta Van Fleet” qualche giorno fa ha scritto:

“La band del Michigan è la degenerazione dell’effetto nostalgia e del fenomeno delle cover band: non ha successo nonostante le sue canzoni siano uguali identiche a quelle dei Led Zeppelin, ha successo perché le sue canzoni sono uguali identiche a quelle dei Led Zeppelin”

Non sono d’accordo.

I Greta Van Fleet hanno successo perché sono bravi: sanno confezionare un buon disco in studio e sanno suonare le loro canzoni nei concerti.

Sono inoltre molto giovani e hanno tanto tempo davanti per migliorare e, forse un giorno, trovare il loro distacco dai big del rock a cui oggi vengono associati, così come è successo agli Interpol e agli Editors.

Quello che voglio dire è che è normale tutto questo, fa parte delle regole del gioco e di quello che chiamiamo business musicale. Ogni gruppo –  e i Greta non sono esclusi –  che ha un successo planetario nella nostra epoca è un prodotto confezionato ad arte da manager, produttori e case discografiche. Questo non è necessariamente un bene, certo, ma su qesto potrremmo aprire un capitolo a parte.

Con questo articolo non voglio dire che preferisco l’emulazione all’originalità  ma piuttosto,  se devo preoccuparmi del futuro del rock’n’roll, mi preoccupa di più pensare ad un Ed Sheeran come headliner del Firenze Rocks insieme ai Cure o magari vedere il successo di un qualche gruppo che copia, che ne so, i Coldplay (!?!)

di Damiano Sabuzi Giuliani