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|Interview| Fragilità e bellezza nel corallo di Colombre

Il Colombre è una creatura sottomarina protagonista dell’omonimo racconto di Dino Buzzati. Questo mitologico mostro marino, misterioso e affascinante, è in grado di attirare magneticamente l’attenzione e la curiosità, spingendo le persone a immergersi nelle acque più profonde per scoprirne la reale essenza.

È quindi significativo che Colombre, il cantautore marchigiano che all’anagrafe si chiama Giovanni Imparato, abbia scelto di intitolare il suo secondo album Corallo. Quest’ultimo infatti è anch’esso un elemento tipico dei fondali marini, bellissimo ma fragile, colorato e inavvicinabile, sfaccettato come i racconti di relazioni umane presenti negli otto pezzi della tracklist.

Il disco, pubblicato per Bomba Dischi lo scorso 20 marzo, dimostra nuovamente grande raffinatezza ed eleganza nella scrittura di Colombre, ancora più maturo e consapevole delle proprie scelte rispetto al passato. A tre anni da Pulviscolo, il suo fortunato esordio, infatti, ha collezionato svariate esperienze che gli hanno permesso di crescere umanamente e artisticamente, dalla produzione di Deluderti di Maria Antonietta fino al tour italiano ed europeo nelle vesti di chitarrista con Calcutta.

Giovanni ha riversato tutto ciò nelle sue nuove composizioni, grazie alla produzione di Pietro Paroletti, rimanendo in bilico con agilità fra pop e soul, brit-rock e psichedelia. Il risultato non lascia indifferenti, trasportando l’ascoltatore in dimensioni oniriche e inaspettate, dai numerosi riferimenti sonori: dai Kinks a Massimo Ranieri, dai The Dream Syndacate alle Ronettes.

Per scoprire di più su questo lavoro e addentrarci al meglio nel suo mondo abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui, ecco cosa ci ha raccontato.

 Innanzitutto ti chiediamo come stai in questo momento così particolare.

Per fortuna bene!

 È uscito da pochissimo Corallo, il tuo nuovo lavoro, ti va di presentarcelo? Raccontaci cosa rappresenta per te questo nuovo progetto. 

Si è uscito il 20 marzo, è il mio secondo disco e rappresenta la meraviglia di scoprire qualcosa di nascosto, in me e negli altri. L’ho chiamato così anche per elogiare la lentezza che occorre per crescere.

 Sono passati tre anni dal tuo lavoro precedente, Pulviscolo. Ad oggi quanto ti senti cambiato, musicalmente parlando? Esiste un fil rouge tra quel lavoro e Corallo?

 Cambiamo ogni giorno no? Figuriamoci in tre anni! Si cambia, si cresce, si fanno esperienze nuove…si cerca di migliorarsi, imparare e andare ancora più a fondo nelle cose.

Il filo rosso c’è nei testi, perché trattano di quello che più mi interessa: i rapporti tra le persone.

A volte le relazioni con gli altri sono anche contrastanti e certe profondità sono difficili da raggiungere, ma sono da preservare e proteggere con più cura possibile data la loro bellezza. Nella musica invece ho cercato di approfondire meglio alcune sonorità che avevo catturato in Pulviscolo, poi ho usato gli archi nell’arrangiamento che non avevo inserito prima e ho lavorato di più sulla solidità e sugli spazi.

Quali sono, se ci sono, i tuoi principali riferimenti musicali? Quanto sono stati importanti nella fase creativa di questo nuovo album? 

Nel corso del tempo ho ascoltato tante cose diverse, nuove o che già conoscevo, senza prefissarmi su qualcosa di particolare. Preferisco non farmi ingabbiare in un genere preciso ma giocare con mondi anche molti diversi tra loro. Da Glen Campbell passando per Bill Withers fino a Rihanna e i Deerhunter.

Delle canzoni che compongono Corallo ne esiste qualcuna che ha avuto una gestazione particolare? Ti va di raccontarci qualche aneddoto?

Non ti prendo la mano mi ha fatto molto dannare, perché non riuscivo a capire bene la tonalità in cui suonarla, forse perché quando ho registrato la bozza sul cellulare l’ho cantata con la voce molto sussurrata che mi ha depistato. Poi il ritornello non entrava nel modo giusto, ma per fortuna alla fine ho trovato l’accordo che mi serviva.

Una cosa che mi dispiace è che, sempre per una questione di tonalità, ho dovuto sacrificare un’intro che avevo e mi piaceva tanto, devo dire che raramente mi è capitato di scervellarmi così per una canzone.

Il tuo nome è già molto conosciuto nella scena musicale italiana: c’è qualche emergente che ti incuriosisce o a cui ti senti affine?

Mi piace l’attitudine e la spontaneità di Bartolini e di Rares.

L’eleganza della tua poetica è sempre stata qualcosa di estremamente affascinante. In che modo ti approcci alla scrittura di un testo?

Grazie mille. Eh, è sempre una questione delicata. Quando sei fortunato le parole ti vengono insieme alla musica, altrimenti parti da qualche frase o sensazione che magari ti sta suggerendo la musica stessa o la melodia che hai trovato. Cerco di essere il più naturale possibile, quando vedo che mi sto incartando di solito ricomincio da capo perché significa che non erano le parole giuste per quella canzone, e ogni canzone ha le sue parole adatte.

Ci piace pensare che quando un artista concede un’intervista c’è almeno una domanda che vorrebbe sentire. Qual è la domanda che io non ti abbiamo fatto e a cui vorresti rispondere?

Non mi avete chiesto se è un robot che risponde in automatico a queste domande, vi confesso che lo è. Avete scoperto il mio segreto.

 

di Mariarita Colicchio e Filippo Duò

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