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|Interview| In a State of… Eien – Intervista a Dario Torre

Dario Torre_foto oriana spadaro

Dario Torre - Foto Oriana Spadaro

永遠, ovvero “Eien” è Dario Torre, chitarrista e cantante della band shoegaze Stella Diana.

Dal 2005 ad oggi, insieme alla band, ha realizzato cinque album e da poco ha deciso di concedersi una parentesi solista. Nasce così “Eien”, un EP di quattro brani che prende il nome dallo stesso progetto, definito dal musicista come una “semplice incursione solista”.

Rispetto ai lavori degli Stella Diana, una delle band più stimate della scena shoegaze italiana (e non solo), questo lavoro si presenta, se possibile, ancora più introspettivo. I richiami alla new wave e alla musica ambient sono decisamente più marcati e tutti i 16 minuti che lo compongono sono intrisi di atmosfere introspettive e ipnotiche.

Suoni che catturano e creano una sorta di battito intimo.

Eien, prodotto da Vipchoyo Sound Factory e da 7 Senoritas Gritando, è interamente strumentale e dichiaratamente riconducibile allo stile delle colonne sonore di film di science-fiction.

Ho fatto qualche domanda a Dario, per provare a conoscere, e a far conoscere, meglio il suo lavoro.

Dario, il disco nasce da un’esigenza che sul tuo press kit viene definita “di divertimento”. Ascoltandolo, invece, l’idea che mi sono fatta è che ci sia dentro l’esigenza di esprimere qualcosa di più “intimo”, soprattutto rispetto alla musica realizzata con la tua band. Mi sbaglio? Oppure magari le due cose non si escludono l’un l’altra?

Le cose collidono. Mi sono divertito diciamo, nel senso che ho avuto la possibilità di essere più “libero”, più indulgente e di lavorare in modo più morbido sulle cose senza la naturale pressione che ho quando lavoro con la band. Il lato intimo, più che altro, è stato portato alle estreme conseguenze perché già con gli Stella Diana stiamo spingendo su qualcosa di più personale e profondo, ed è palese già nell’ultimo disco, 57.

 

Il nome del progetto (e il titolo del disco) è in realtà composto da ideogrammi giapponesi. Ce ne vuoi raccontare la genesi?

Eien vuol dire Eternità. Era il titolo del mio nuovo romanzo, concepito dopo aver fatto uscire il primo volume di una trilogia che ho poi accantonato. Questo romanzo doveva essere molto doloroso e violento, ambientato in una realtà distopica. Ad un certo punto ho mandato tutto all’aria e mi sono ritirato dalla scrittura, perché credo di aver dato ciò che potevo senza ulteriori prove o forsanche perché non sono convinto di saper scrivere. Mi era rimasto il titolo e siccome esordire col mio nome mi dava profondo fastidio, ho usato Eien, dando idealmente una colonna sonora (cosa che avevo fatto con Dominio, il mio romanzo pubblicato) alla storia che mai uscirà.

Intervista a Dario Torre

“Eien”

Come pensi possa essere definita l’Eternità? Se possiamo definirla…

Eternità è tutto quello che ci spaventa proprio perché non è definibile razionalmente, ma ne desideriamo profondamente l’essenza. Chi di noi non è spaventato dalla morte? Dalla caducità dell’esistenza? Chi non vorrebbe vivere in eterno? Io assolutamente sì, ma non perché spaventato dalla morte, tutt’altro, ma solo perché basterebbe l’eternità per venire a patti con la vita e magari capirne il significato.

Posso chiederti perché questo “fastidio” a usare il tuo nome?

Prima di tutto perché penso che non suoni bene… Poi perché il mio nome è comunque legato a quello della band. Mettere l’accento sul fatto che facevo una cosa fuori del gruppo non mi andava. E poi credo anche che, da un certo punto di vista, sia più internazionale.

Da quello che ho letto, “Eien” lo hai registrato in poco, pochissimo tempo. Mi viene da pensare ad una sorta di “urgenza”, sia di ritrovarti da solo con la musica sia, allo stesso tempo, di comunicarlo al mondo lì fuori…

Più che urgenza di comunicare qualcosa al mondo, direi che è stata piuttosto la voglia di fissare uno stato d’animo che da qualche tempo vivo e del quale non riesco a liberarmi. “Eien” è stato registrato in un giorno solo, il 29 dicembre; anzi, registrato e composto, perché prima del 29 non avevo nulla in mente se non il mood del lavoro. Non avevo messo nemmeno una nota sulla chitarra. È arrivato Giacomo, il bassista degli Stella Diana nonché produttore e tecnico del suono dei nostri ultimi tre album, con un Mac, due microfoni e un mixer, e gli ho detto di premere record [Giacomo Salzano è stato, insieme a Dario, cofondatore della band, nata a Napoli sul finire degli anni novanta n.d.r.].

Tutto in una giornata…

Quattro ore in tutto, in realtà, per fare l’intero EP. Solo 1994 è stata composta da Marco, un nostro amico che vive a Barcellona e che registrò anni fa Gemini [terzo disco dei Stella Diana n.d.r.]. A Marco ho chiesto delle chitarre a suo gusto e mi ha mandato due tracce che Giacomo ha sovrapposto creando qualcosa di unico.

Intervista a Dario Torre

Dario Torre

Rispetto all’esperienza con la band, vorrei soffermarmi un attimo sul problema annoso del “cantare in italiano”. Ho letto che gli accostamenti che ti capita di ricevere ad artisti cosiddetti “alternativi”, che cantano in italiano, non ti vanno a genio. E azzarderei che chi li ha fatti conosce poco del vostro percorso… Ma veniamo alla domanda: quanto è difficile accostare la lingua italiana alle sonorità dello shoegaze?

Io ascolto poca musica italiana se non alcune eccezioni, come Battiato, il Battisti del periodo Panella, Alice e tutta la new wave, dai Diaframma, passando per Garbo e i Denovo. Ciò non toglie che conosca la musica italiana in toto, se non altro per cultura personale, ma il rock italiano, sia esso Verdena o Afterhours, davvero non mi interessa. Salvo solo i primissimi Litfiba, i Disciplinatha, Scisma e i Diaframma con Sassolini.

L’italiano è una lingua molto poco incline nel piegarsi a certe sonorità come lo shoegaze, che necessita di dilatazioni o sussurri.

Io non amo cantare in italiano perché divento declamatorio e perché esporrei troppo, come ho fatto in passato, quello che ho dentro e non mi riuscirebbe di sopportarne il peso emotivo.

Nella band tu ricopri diversi ruoli, scrivendo anche i testi. In quel caso hai un metodo per stabilire l’accostamento delle parole ai suoni? In che modo avviene, solitamente, il tuo processo di creazione di un brano cantato?

Io non so proprio come faccia ancora a creare delle melodie o dei testi, dopo tutti questi anni, mi stupisco io per primo. Di solito lo faccio dopo che il pezzo ha acquisito una sua fisionomia. A quel punto inizio a canticchiare una melodia e poi ci aggiungo le parole. Spesso però è successo che anche durante le registrazioni stesse io abbia improvvisato qualcosa che poi è finita su disco, poiché è piaciuta a me e ai ragazzi. In Eien mi sono liberato dell’onere di cantare, almeno per una volta.

In a State of... Eien - Intervista a Dario Torre

Stella Diana live – Foto Ilaria Sponda

Stiamo vivendo un momento che definire “particolare” è davvero riduttivo. La musica, e tutti coloro che lavorano dentro e intorno alla musica, stanno subendo una grande crisi, con la cancellazione soprattutto di centinaia di eventi. Ma, al di là del momento contingente, ti chiedo: fare musica oggi ha ancora una sua peculiarità, visto il disinteresse che spesso ci troviamo ad avere davanti ? 

Fare musica, fare arte implica uno sforzo enorme. Uno sforzo da parte dell’artista che è principalmente creativo, perché non solo la persona fa altro da sé, ma una volta data l’opera alla luce, qualunque essa sia, la persona si mette in gioco e ne riceve i naturali e inevitabili riflussi.

Il problema è che abbiamo assistito, in questi ultimi quindici anni, ad una sovraesposizione, ad un numero spropositato di persone, che anche grazie al web, hanno messo in mostra se stesse e l’eventuale loro energia creativa.

Il fruitore riceve bombardamenti costanti e l’offerta è molte volte estremamente piatta e disomogenea.

Pensi che ciò sia dovuto anche alla carenza di strutture adeguate?

Le strutture, al netto di quelle che chiudono o che si reinventano, ci sono. Manca  però una base innanzitutto culturale, da parte in primis di chi “fa arte” e poi da parte del pubblico che, sovraccaricato, dà attenzione minima se non completamente nulla alla proposta. Cosa si può fare? Io non saprei dirlo con certezza, perché credo che il processo sia irreversibile. Nel mio settore, chiunque può fare musica da casa e chiunque può incidere un disco ignorando anni di esperienza ed eventuali delusioni (che invece fortificano) che una vita da musicista offre. Io ho fatto quel che ho fatto e ne sono fiero. Avrei potuto far di più, ma ringrazio il cielo che, alla mia età, suono ancora (alle mie condizioni e alle mie voglie) e, visti i tempi, non è poco.

La pandemia ci ha costretto a rivedere una serie di cose che partono dal quotidiano e arrivano più nel profondo delle nostre vite e dei rapporti umani. Non ti chiedo tanto una previsione sul futuro, se tutto questo cambierà qualcosa o meno, ma una tua riflessione sul presente, sul qui e ora di questo grande guaio.

Qualcosa di epocale ci sta investendo con una forza a noi, figli di un’epoca schiava del benessere, totalmente sconosciuta. Temo che la maggior parte non abbia preparazione culturale e soprattutto psichica a reggere questa onda d’urto immane. Senza contare poi le ripercussioni economiche che presto avremo.

Il qui e ora è godere di una gioia, anche minima. Lo si può fare anche stando chiusi nelle proprie case, mettendo a frutto il tempo in più che ci ritroviamo ad avere a disposizione, migliorando se stessi in tanti modi. Anche affacciarsi alla finestra all’alba e respirare rappresenta qualcosa di irripetibile e di unico.
Intervista a Dario Torre

Flux Against Covid 19

Anche tu hai voluto unirti al grande coro degli artisti che ci stanno tenendo compagnia con le loro dirette. E, naturalmente, te ne siamo grati.

Sì, lo sto facendo attraverso i canali social di In A State of Flux Fest, il festival italo-gaze con cui collaboro. Un festival itinerante che è diventato ormai una realtà consolidata ed è portato avanti da più di una decina di persone. Siamo in costante contatto quotidiano. Vorremmo poter dare un contributo  affinché la musica, e l’amore che abbiamo per essa, possano essere di sostegno a tutti quelli che ci vedono/ascoltano. Ovviamente speriamo di riportare l’In A State of Flux Fest presto in giro. Significherebbe la fine della pandemia.

[Dell’ultima edizione del festival ci eravamo occupati qui n.d.r.]

Grazie Dario! Non vi resta che ascoltare, se non lo avete già fatto, Eien. Cercatelo sulle principali piattaforme digitali o su YouTube e sarete trasportati in una sorta di universo parallelo, denso e profondo, che punta dritto verso l’eternità.

di Loredana Ciliberto