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|Interview| ELASI ci racconta il suo EP d’esordio, “Campi Elasi”

“Campi Elasi” è l’EP di esordio di ELASI, uscito il 28 ottobre 2020 per Neverending Mina con distribuzione Artist First.

Abbiamo intervistato ELASI, giovane cantautrice, chitarrista e producer alessandrina, che ci ha presentato il suo progetto!

Il tuo è un progetto molto particolare, sia nelle sonorità sia nel rapporto che c’è tra musica ed immagini, colori: come è nato e come si è sviluppato?

Scrivo musica da quando ero piccolina, mi inventavo le melodie, pensavo a delle nuove canzoni.

ELASI come progetto nasce poco meno di due anni fa: mi è sempre piaciuto mischiare le arti tra di loro, quindi la musica insieme alle arti visive, alle arti performative.

È un modo di esprimersi a 360°, rendendole un prolungamento l’una dell’altra, ecco perché per me conta anche tanto portare i colori, i movimenti, i vestiti, i video, in modo coerente rispetto alla canzone e alla musica che suono.

Quando scrivo i pezzi ho un mondo in testa: penso a dei colori, a delle immagini precise, per questo ho scelto di dargli così tanta importanza. Al primo posto c’è comunque la musica, ma è anche un bel modo per presentare il proprio lavoro.

In “Campi Elasi” ci sono diverse collaborazioni, che sono state sviluppate online: come sono nate e come è stato trovarsi a lavorare a distanza sui pezzi?

 In realtà le collaborazioni sono nate molto prima di questo periodo, anche se sembra assurdo. È partito tutto da un progetto, che si chiama Chi, che ho scritto per il bando ORA!X, promosso dalla Compagnia di San Paolo, una fondazione che molto spesso finanzia artisti contemporanei e giovani.

La Compagnia di San Paolo  si occupa anche di molte iniziative in Piemonte, ad esempio il Club to Club, quindi lavora molto con l’arte. Mi hanno finanziato il progetto: sono partita arrangiando i miei pezzi con dei musicisti che ho trovato su internet, facendo una grossa ricerca sul web, oltre che con il passaparola di amici, che vivono in diversi Paesi del mondo, o cercando direttamente sui social, scrivendo mail ad artisti che mi piacevano, non famosissimi.

Ho fatto una ricerca di sette artisti da sette paesi del mondo, tutti con tradizioni e culture molto lontane dalla nostra; suonano  degli strumenti a noi molto diversi da quelli a cui siamo abituati.

Hanno fatto quindi diversi interventi musicali sui miei pezzi, ad esempio c’è un ragazzo indiano, ma anche un giovane del Mali che suona il balafon, oppure sull’ultimo singolo uscito, Esplodigodi, c’è un armeno, ma ci sono anche ragazzi e ragazze provenienti dal Brasile o da Singapore, insomma un po’ da tutto il mondo.

Non è stato facile, anche perché mi sono trovata a scrivere delle mail a sconosciuti, che a volte non conoscevano bene l’inglese ma che si ritrovavano messaggi dove gli si chiedeva di suonare il loro strumento sulle mie canzoni.

In alcuni casi è stato difficile far capire cosa volessi esattamente, o comunque non capivano subito cosa volessi fare: dopo c’è stata la parte operativa, anche questa non facile, un po’ per la lingua, un po’ per le diverse concezioni musicali, perché appunto avevo voluto cercare persone molto diverse da me, ed è stato difficile mischiare poi insieme i nostri mondi.

Dopo averne discusso lungamente, mi mandavano la parte, registrata dal loro Paese, via internet, quindi è stato un processo complesso, ma alla fine ce l’abbiamo fatta.

Le tue canzoni hanno spesso basi elettroniche, a volte con parti caratterizzate da ritmi inaspettati e suoni particolari, ed anche i tuoi testi sono lontani dall’essere “convenzionali”: come si sviluppa l’idea dietro ai tuoi pezzi?

È un processo molto istintivo: a volte mi viene in mente una parola e decido di scrivere una canzone partendo da quella, o da un gioco di parole. Molto spesso però partono dalla musica, che anche in questo caso nasce d’istinto; mi metto a jammare con me stessa e scrivo e, grazie a programmi e software di produzione, riesco a trovare dei suoni particolari, sintetizzatori, drum machine, che mi ispirano e da lì parte tutto.

Ci sono degli artisti che ti hanno ispirata dal punto di vista musicale o che trovi particolarmente interessanti?

Le mie canzoni sono frutto di tantissimi ascolti; sono partita da piccola, quando avevo iniziato a suonare la chitarra, con il punk e il rock, poi dopo mi sono avvicinata al funk, all’afrobeat, la bossanova, e successivamente anche all’elettronica più sperimentale quando ho iniziato a produrre, a studiare i suoni più particolari, meno standard.

Mi piacciono molto gli artisti che uniscono l’arte visiva alla musica, come ad esempio David Byrne, FKA Twigs, St. Vincent, ma non posso dire che la loro musica mi abbia ispirata perché credo che sia abbastanza diversa dalla mia, anche se ritengo che siano stati fondamentali per la loro libertà artistica di pensare.

Come vedi gli spettacoli live dopo questa emergenza?

In realtà questa situazione mi sta preoccupando molto, sono veramente confusa. Sono usciti recentemente dei dati che dicevano che c’è stato un solo caso di contagio durante i concerti questa estate.

n.d.a. in questi giorni, la possibilità di suonare live è stata nuovamente tolta, quindi la domanda purtroppo resterà aperta per tutti essendo impossibile prevedere come andrà avanti questa situazione.

Recentemente hai collaborato con Cartier: di cosa ti sei occupata?

Ho fatto la Dj tutte le sere ad un evento che loro hanno creato, costruendo uno spazio a Milano, tutto rosso, con delle installazioni di luci molto particolari, oltre a delle proiezioni audio-video; ad esempio c’era anche un’installazione costituita da un arco di luci led, molto bella, di cui ho potuto curare la sonorizzazione. Era un evento a numero chiuso, però ho avuto la possibilità di mettere i dischi che mi piacevano.

Tra tutte le canzoni del nuovo album, che uscirà il 28 ottobre, quale ti ha divertito di più scrivere? Quale non vedi l’ora di suonare dal vivo?

Divertito di più forse Supererrore, nata da una jam session di produzione con un mio amico, produttore e cantautore, Federico Secondomè: è molto libero come pezzo. Anche Esplodigodi, che è stato frutto di un dialogo con me stessa e con cui mi sono liberata di ogni paranoia in quel momento.

Amo comunque tutti gli altri pezzi, che sono parti di me, ma ci sono stati in alcuni casi processi un po’ più lunghi: ad esempio, alcuni li ho scritti con la chitarra, poi ho pensato ad un arrangiamento, poi l’ho cambiato, ho cambiato il suono, quindi c’è stato molto lavoro.

Dal vivo non vedo l’ora di suonare Souvenir, il pezzo che apre l’album, secondo me davvero divertente.

Sono contenta di tutti i brani e da una parte mi sento felice di rendere pubblico questo pezzo di me, perché è un lavoro di tanti anni, dall’altra sono quasi triste di staccarmene e pensare che escano ufficialmente, senza sapere come andranno.

In questo momento, poi, è anche molto importante il passaparola per far girare la propria musica, soprattutto quando si è un artista piccolo!

di Lucrezia Lauteri

© foto di copertina: Chiara Quadri