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|Interview| L’alt-rock de I Boschi Bruciano: non c’è niente di bucolico!

Giovanissimi, I Boschi Bruciano sono la band di spicco della scena cantautorale rock italiana altrimenti dominata da Ministri e Fask.

Il progetto de I Boschi Bruciano nasce in mezzo ai frutteti cuneesi, dall’idea dei fratelli Pietro e Vittorio Brero, Giulio Morra e Luca Mauro.

Nel 2017 inizia il loro percorso professionale registrando Qwercia, un progetto di cinque pezzi in collaborazione con Francesco Martinat. L’esperienza live accumulata singolarmente e le numerose attività promosse dalle associazioni Last One to Die e FreakOut li hanno posti fin da subito tra le band di spicco della scena musicale cuneese.

Partendo dalla serata di debutto del 1 settembre 2016 sul palco di Fossano, suonano in tutto il nord Italia, anche in apertura ai live di band del calibro di Perturbazione, Fine Before You Came e Gazebo Penguins. Nel 2018 subentra al basso Maurizio Audisio, con cui la band termina la realizzazione dei brani che compongono il loro disco di debutto, anticipato a novembre 2018 dal primo singolo, Odio.

A gennaio 2019, sotto la produzione di Paolo Mulas, iniziano la registrazione dell’album, uscito il 4 ottobre scorso per Bianca Dischi con distribuzione Artist First.

Il 7 novembre sono stati co-protagonisti di un live di grande successo al Magazzino Sul Po, in apertura a Cara Calma per la serata di Bonsai.

Pietro e Vittorio ci raccontate com’è andata?

È andata molto bene e i Cara Calma sono per noi dei fratelloni. Poi c’era tanta gente! La scaletta, a parte qualche sbavatura, è andata bene. Possiamo dirci soddisfatti: suoni molto belli, acustica perfetta, locale bellissimo: magari un tour di date così!

Ma procediamo con ordine. Ve lo chiederanno in tanti, come mai “I Boschi Bruciano”? Prima vi chiamavate “Qwercia”, adesso avete conferito al nome un aspetto più “distruttivo”

Siamo arrivati a questo nome dopo un mesetto di ricerca. Volevamo qualcosa che rimanesse in ambito naturalistico, proprio come era Qwercia.

Nel momento in cui abbiamo cambiato un membro e abbiamo iniziato a collaborare con Bianca Dischi, si è deciso di cambiare nome, a causa anche di un problema di omonimia con una band sarda che fa un genere molto simile al nostro e che stimiamo tantissimo.

Il nome I Boschi Bruciano può essere interpretato su due livelli e ci piaceva anche per questo motivo. Il primo è naturalistico: a Cuneo più che piante e alberi non c’è nulla e questo ha fortemente influenzato la nostra formazione fin da bambini e il nostro approccio al mondo. In una cosa per noi importante come la musica era giusto che ci fosse un rimando a questo tipo di situazione.

Poi può essere inteso anche a livello più concettuale: o nel senso che le cose succedono e non ci si può far nulla, non si può avere il controllo totale sulla vita e sugli eventi; oppure nel senso che quelli che affrontano la vita a muso duro spesso provengono dai luoghi più inaspettati.

Infine, dire che le cose bruciano fa subito “Yeah rock ‘n’ roll!!!” (ridono)

Essendo il nome di una band doveva anche rispecchiare un determinato genere, ci piaceva a livello di impatto sonoro.

 Ci Pesava è un disco che scava a fondo, mette a nudo e trasuda energia e intensità. È un disco senz’altro sincero, come le urla dei vostri brani. È autobiografico?

I testi non sono autobiografici nel vero senso della parola. Ci piace definirlo come un disco introspettivo.

Tutto quello che raccontiamo sono emozioni o riflessioni: ciò che accade dentro di noi.

Non riferiamo aneddoti della nostra vita, ma come ci ha fatto sentire una determinata cosa, aprendoci poi ad una riflessione più profonda sulla vita, sulla condizione umana, sul futuro, sulla crescita.

L’unico pezzo in cui ci siamo messi più a nudo è Mi Spegnerò, in cui facciamo apertamente riferimento al lavoro, in particolare quello in campagna. In generale in questo disco abbiamo tentato di essere abbastanza sociali, per quanto sia possibile.

Ci sono artisti che riescono ad essere molto più neutri ed è una cosa che apprezziamo tantissimo, ma nel nostro modo di scrivere e nel nostro modus operandi in generale, il filtro introspettivo emerge sempre, non riusciamo a farne a meno.

È come se nell’album convivessero due anime: una governata dalla totale disillusione, l’altra decisamente reattiva e risoluta. È così?

Sì, queste due facce della medaglia sono il filo conduttore di tutto l’album. Tendiamo spesso nelle canzoni a far trasparire una vena disillusa: questo può essere l’aspetto più autobiografico che può esserci nel disco.

Detto ciò, non abbiamo mai amato le canzoni che sono tristi per essere tristi, secondo noi i brani devono esorcizzare la disillusione o la paura per il futuro. In ogni traccia abbiamo cercato di dare una via d’uscita all’ascoltatore e far capire che, anche dal nostro punto di vista, esiste una luce alla fine del tunnel volendo essere metaforici.

La doppia anima fa parte delle nostre due personalità. I testi nascono da discussioni tra di noi, vivendo, lavorando e andando ai concerti insieme, confidandoci l’un l’altro e ragionando su determinati problemi.

I vostri brani hanno tutta l’energia del rock. Spesso però i suoni più ruvidi sono soffocati dai synth. Come mai?

La scelta delle tastiere e dei synth all’interno del disco è stata un po’ obbligata, per coprire determinate frequenze necessitavamo proprio di questo strumento. La maggior parte di quelli che molti scambiano per synth però sono chitarre. Diciamo che la roba dei suoni più ruvidi che tendono ad essere soffocati deriva dal fatto che la nostra passione per il post rock è sempre stata molto forte, quindi abbiamo cercato di farla convivere con quella per il rock, o meglio tentiamo di miscelare tutto con i classici accordoni più grezzi del rock e del punk.

Da chi traete ispirazione? Quali sono i live ai quali preferite assistere?

Tutto quello che è rock italiano lo seguiamo accanitamente, rasentiamo il nerdismo. Specialmente molta musica emergente, dato che ci troviamo negli stessi panni.

Mi vengono in mente i due gruppi che seguivamo da ragazzini, prima i Ministri e poi i Fast Animals and Slow Kids. Questa è la vena italiana. Perché per quanto riguarda il post-rock, abbiamo preso molta ispirazione da artisti stranieri.  

Per quanto riguarda la vena cantautorale, ci sembrava anche culturalmente più sensato approcciarci e ascoltare musica italiana, cantando noi in italiano, sempre con le contaminazioni di quelli che sono i nostri ascolti esteri.

Progetti futuri, a breve o lungo termine? Suonerete, finalmente, anche al sud?

La prima cosa, quella che desideriamo più di tutti è un tour e la stiamo raggiungendo con le unghie e con i denti, una data alla volta. Vogliamo suonare in più posti possibile, più a lungo possibile e davanti a più gente possibile per tutto il 2020.

Poi dopo altri dischi, altri tour e così via, come tutti i gruppi. Appena riusciamo a muoverci di più su scala italiana verremo anche al sud. Noi siamo pronti a partire subito!

di Maria Francesca Gentile