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|Playlist| I The Mother celebrano le chitarre con sei brani da ascoltare

Si chiama “OCD” il nuovo singolo dei The Mother, uscito a fine maggio.

I The Mother presentano il loro nuovo lavoro così:

Quando si ha qualcosa di nuovo tra le mani si fa fatica a tenerlo nascosto per troppo tempo. Durante il mese di dicembre abbiamo portato avanti la nostra collaborazione con Margarita Bareikyte, dalla quale è nato il videoclip della nostra OCD e questa è l’occasione in cui ve lo presenteremo. Ci sarebbe piaciuto presentarlo alla “vecchia maniera”, proiettando il video al termine di un concerto. Ma l’incertezza continua ad esserci e allora cercheremo di ricreare quell’atmosfera direttamente nella nostra sala, nel posto per noi più caro e significativo che ci sia. Condivideremo con voi, quindi, il lato più intimo dei Mother con un live streaming che cercherà in tutto e per tutto di riportarci in quei contesti che tanto ci mancano, stretti in un locale con un bicchiere in mano.

Abbiamo chiesto loro di comporre una playlist per chi ama le chitarre, eccone il risultato. Ma prima, godetevi il video ufficiale di OCD!

1) Angel – Massive Attack

Chitarra può voler dire potenza. E visto che noi facciamo musica elettronica, vorremmo portare all’attenzione di chi legge un esempio di potenza assoluta delle chitarre applicate alla musica elettronica. I Massive Attack sono sicuramente un esempio in questo senso. Quando nella loro Angel entrano le chitarre, vengono giù tutti i muri.

2) Lose yourself to dance – Daft Punk

Chitarra può voler dire ritmo. I Daft Punk sono maestri nel ritmo, e secondo noi in questo pezzo (ma anche tanti altri) hanno sublimato l’essenza di ritmiche anni 70, inserendole in un contesto moderno. Chi non muove la testa a tempo, scagli la prima pietra.

3) Bodysnatchers – Radiohead

Chitarra può voler dire caratterizzazione. Un suono di chitarra particolarmente ben costruito fa la differenza in qualsiasi ambito. È vero, ce ne sono centinaia, di chitarre con suoni stupendi. Noi però abbiamo voluto inserire questa canzone dei Radiohead perché nella nostra playlist “tipo” loro non posso davvero mancare, e quindi omaggio a loro! In questo pezzo le chitarre sono un treno, hanno una pasta aggressiva, compatta. E poi dai, a noi sembra davvero strano che queste chitarre non ti catturino.

4) Plug in baby – Muse

Chitarra può voler dire “lame taglienti”. Esattamente come quelle che arrivano appena metti play su Plug in baby dei Muse. In contesti moderni non è raro sentire le chitarre distorte e metalliche, ma i Muse se ne sono davvero approfittati. A ragione, eh, visto quello che poi sono riusciti a mettere nel pezzo. Quella di Plug in baby è, secondo noi, l’esempio perfetto di come una chitarra può diventare tanto affascinante quanto spigolosa. A testimonianza di questo, infatti, si può notare che non è presente su tutto il pezzo (dove forse sarebbe stata difficile da digerire), ma le strofe sono lasciate sostenute solo dal basso e dalla batteria (e synth), facendo emergere le chitarre solo quando meglio possono esprimere il loro potenziale: riff e ritornelli.

5) Coolverine – Mogwai

Chitarra è sospensione. Laddove il legno si fonde con il cemento, appesantito da una coltre di fumo sottile. La chitarra entra in punta di piedi quasi fossero piccole gocce di una pioggia troppo tenue per lavare via tutto. Ma lentamente qualcosa cresce sottotraccia, come un tremolante germogliare, fino ad ergersi oltre, squarciando quella barriera imperturbabile. È un suono grezzo, che vibra insieme a te, che lentamente ti solleva da ciò a cui precedentemente eri ancorato. Quasi a fermare il tempo e lo spazio per qualche istante. Solo qualche momento infinitamente sospesi.

6) First regret/Three years older – Steven Wilson

Io vi do le chitarre ma poi non ditemi che per voi sono troppe. Strumming serrato, lead, accompagnamento morbido, power, arpeggi, fraseggio, qui dentro c’è tutto quello che ha reso la chitarra elettrica un’icona del rock. Le influenze del passato affiorano in superficie, e c’è chi ci sente i Rush, i Genesis, chi i King Crimson, i Pink Floyd, ma è Steven Wilson. Non lasciatevi scoraggiare dalla durata del pezzo perché è un racconto. Vi accompagnerà tenendovi per mano, vi cullerà quando ce ne sarà il bisogno, per poi sconvolgervi quando meno ve lo aspetterete.