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|Interview| Torniamo a chiacchierare con gli Est-Egò

Circa un anno e mezzo fa li intervistavamo per la prima volta, dopo averli conosciuti in apertura ad un concerto di Daniele Celona.

Oggi gli Est-Egò  ci parlano del loro nuovo singolo, dal titolo I Film Sui Samurai, registrato e prodotto da Tiziano Lamberti. Ne approfittiamo anche per fare loro qualche altra domanda e approfondire la conoscenza.

Innanzitutto, ricordateci un po’ la storia degli Est-Egò, come siete nati e come siete arrivati a questa forma definitiva che vediamo e sentiamo oggi.

Mi piace raccontare della nostra genesi partendo sempre dalla storia della stalla: abbiamo abbandonato le sale prove torinesi perché costavano troppo ma anche per altre motivazioni, quindi abbiamo trovato questa soluzione fuori città.

Un ragazzo aveva adibito un vecchio granaio, o forse stalla a sala prove, insonorizzando il luogo. Faceva freddissimo d’inverno, mentre d’estate c’era il problema opposto.

Abbiamo suonato per i primi mesi lì e, anche un po’ per esigenza, perché i distorsori venivano molto riverberati dai muri facendo rimbombare tutti i suoni che si amplificavano, abbiamo cominciato a suonare più piano.

In quel modo ci siamo orientati verso dei volumi più puliti, abbiamo creato qualcosa di diverso.

Prima facevamo una sorta di garage punk arrabbiatissimo, poi andò via la vecchia bassista e rimanemmo io (Davide Mitrione), Luca de Maria, Alessio Sanfilippo, Fabrizio dell’Aiera.

Arrivò Nicolò Capece, con un’altra indole: ci siamo trasformati da quello che eravamo, cominciando a diventare gli effettivi Est-Egò.

Da lì è stato un continuo divenire, perché ci siamo detti di creare, improvvisare, suonare senza limiti e senza imporci una direzione o delle regole, un genere definito.

Nel giro di un paio di mesi gettammo le fondamenta di quello che sarebbe stato poi il nostro sound, le strutture sulle quali poi abbiamo ricamato dei testi che potevano stare su quella dimensione sonora.

Poi con il tempo, gli ascolti, l’acquisizione di sicurezza e gli incontri ci siamo evoluti, ma è stato un processo ulteriore, una conseguenza.

L’ultima sala prove che abbiamo avuto però era ben diversa dalla prima e dal suo ambiente bucolico!

Si trovava davanti a delle fabbriche, tra cui una dove si verificò anche un grave incidente. Probabilmente anche questo ad un certo punto ha ispirato i testi e la direzione delle canzoni.

La vostra nuova canzone, “I film sui Samurai” è molto particolare, tra lo psichedelico ed il lo-fi, accompagnata da un video che ne rispecchia in pieno l’atmosfera. Com’è nata, musicalmente parlando, e cosa racconta? Come è nata la collaborazione per il video?

Come tutte le altre canzoni, I film sui Samurai nasce da un riff venuto fuori in sala prove, un po’ aspro, un po’ oscuro, sicuramente particolare, ed il giorno dopo ancora l’avevamo in testa quindi abbiamo capito che valeva la pena lavorarci.

Partendo da lì abbiamo sviluppato gli accordi ed una canzone che controbilanciasse l’oscurità iniziale, con molti cambi e sfumature.

Il testo è stato una conseguenza: era luglio, faceva caldissimo, ci trovavamo tra le fabbriche e lo smog. Da lì si è sviluppata la storia che parla di questi due amanti alla resa dei conti, che vanno avanti per inerzia in una relazione tossica.

Ci siamo accorti di come tantissime figure ed immagini del testo, a distanza di un paio di anni, durante la pandemia potessero assumere un duplice significato.

Ad esempio “lo strano sogno in cui tu mi abbracci con una maschera antigas”, oltre a simboleggiare la relazione ormai dannosa, alla luce della pandemia simboleggiava anche una condizione che non si può vivere.

Poi ci sono simboli come le streghe o la peste, le prime come capro espiatorio della malattia, riferimento ed allegoria ad un certo tipo di propaganda politica che trova una nuova dimensione al giorno d’oggi proprio per via della pandemia.

Lo scorso marzo, avevamo deciso di pubblicare questo come brano, perché era quello che rispecchiava di più il periodo, pur non avendolo pensato così all’inizio.

Anche la collaborazione con Bart Salvemini è nata per caso.

Volevamo far uscire un bel video, ma c’era reticenza nell’incontrarsi e mettere insieme una troupe con degli attori.

Abbiamo scelto di lavorare a distanza con un animatore che ci piaceva, facendo nascere un connubio interessante.

Quali sono artisti e band con i quali siete cresciuti e quali ad oggi sono i vostri preferiti o le vostre ispirazioni?

Nell’ultima fase della band, i tre pilastri che ci hanno maggiormente accompagnati ed ispirati durante la scrittura del vecchio disco sono i Sigur Ros, che si sposavano perfettamente con l’inverno, la campagna dove stavamo, i silenzi. Poi ci sono i Verdena, per la parte un po’ più testuale, ed i Tame Impala.

In molti ci hanno avvicinati a Battiato, dicendo che lo ricordavamo per alcuni elementi.

È un artista grandioso che in realtà non avevamo mai approfondito, e a cui ci siamo poi appassionati, ed infatti è stato un ascolto molto importante per noi nel periodo successivo. Anche tutta la scena neo psichedelica australiana è stata fondamentale.

C’è un artista o un’altra band italiana con la quale vi piacerebbe collaborare?

Sicuramente i già citati Verdena, gruppo nel quale ci rispecchiamo molto, anche se abbiamo differenti caratteristiche a livello di composizione e scrittura, ma è un po’ l’universo a cui ambiamo, con delle canzoni e dei suoni molto curati e ricercati, molto spazio alla voce degli strumenti ed un cantato che trae la sua forza dal fono simbolismo e da immagini oniriche e surreali, che raccontano anche ciò che non è effettivamente presente nelle parole, con le sensazioni scatenate che rimandando al vero significato profondo.

Un altro artista che apprezziamo particolarmente è Giovanni Truppi, con il suo estro, con i suoi colori e le sue sfumature particolari, un artista unico. 

In questo periodo senza live, quale è un bel ricordo di un concerto che vi andrebbe di condividere?

Un “concerto non concerto” al Sottoscala9 di Latina, organizzato da alcune nostre amiche, dove avevamo diviso il palco con Le cose importanti e Chiazzetta.

Suonammo completamente ubriachi, infatti del concerto non ci ricordiamo nulla, perché fu tutto un offrirsi da bere, circondati dal calore dei laziali.

La cosa bella è stata il dopo, perché durante il dj-set siamo risaliti sul palco e abbiamo cominciato a suonare sulle basi che metteva il dj, con volume molto più alto di quello che usciva dalle cassa.

Abbiamo coinvolto anche il pubblico, molte persone sono salite sul palco ed hanno cominciato a suonare con noi.

Quali pensate siano i vostri punti di forza, ciò che vi distingue dagli altri progetti?

Cerchiamo di far uscire il più possibile la nostra vera vibrazione, anche come persone.

Nel momento in cui si riesce a sintonizzare la propria musica su ciò che davvero si è, la resa è pura, riconoscibilmente vera, perché la forza di un artista sta proprio nella sua verità.

Credo che riusciamo ad esprimere pienamente la nostra verità, che può piacere o no, ma sicuramente non ci sono compromessi in quello che facciamo. 

Ci saranno nuovi singoli degli Est-Egò in uscita prossimamente?

Usciremo con un nuovo brano probabilmente durante il periodo natalizio.

di Lucrezia Lauteri