Review

Andrea Lorenzoni, “Mondo Club”, (iM Andrea Lorenzoni)

Era il 28 gennaio 2012 quando Andrea Lorenzoni si esibiva con i Divanofobia sul palco del Teatro del Navile.

In quell’occasione Lucio Dalla (che ci avrebbe lasciato poco dopo), notando il giovane bolognese, gli suggerì di intraprendere una strada propria per dar vita a qualcosa che riflettesse totalmente se stesso.

5 anni, decine di esibizioni e un libro di poesie dopo, Lorenzoni realizza quel sogno, debuttando con il suo primo album da solista Mondo Club, uscito lo scorso 23 marzo. Nato in collaborazione con il fonico e produttore Michele Postpischl (Ofeliadorme), Mondo Club rappresenta una vera e propria scommessa per il 31enne bolognese. Autore e compositore di tutti i dodici brani del disco, prende le distanze dal suo stile cantautorale classico, abbracciando un sound dalle sfumature più pop. Una decisione che sicuramente mira al dialogo con un pubblico vasto, meno di nicchia, e alla riscossione di ampi consensi. Bisogna riconoscergli, però, un certo tocco sperimentale nell’introduzione di contaminazioni etniche dal sapore orientale. Questa scelta stilistica così particolare nasce dalla voglia di indagare se stesso, dando voce alle proprie origini pakistane (da parte di padre). Troviamo così strumenti insoliti come tabla, sitar e harmonium indiano che si mescolano con i suoni a noi più familiari del pianoforte, della chitarra, della tromba e del sax.

L’intero disco rappresenta lo sguardo dell’autore sul mondo. Come farebbe un moderno menestrello, Lorenzoni ci racconta ciò che vede dal suo punto di osservazione privilegiato: sono storie di integrazione e diversità, di movimento e stasi, storie che possono sembrare le nostre, storie nelle quali non ci riconosciamo. Lo stesso nome dell’album suggerisce immediatamente il paragone tra il mondo e un grande club nel quale la gente vortica e le dinamiche si mescolano.

Due sono gli elementi a farla da padroni: la musica e le donne; la prima, non solo come accompagnamento alle storie narrate (Il nostro prato) ma anche come fonte di salvezza e reazione (Balla più che puoi) e, infine, personificata nella hit Canzone, probabilmente titolo tributo al celeberrimo brano di Lucio Dalla. La seconda, la figura femminile, come presenza forte e ricorrente, quasi ossessiva, che si snoda attraverso l’intero disco: la donna combattuta di Compagna con figli, la donna come modello di forza e punto di riferimento incarnata dalla Sofia di L’introverso canta; Lucia, oggetto del desiderio dell’autore nel brano omonimo, Flavia, un amore passionale con lo sguardo proiettato al futuro in Una generazione. Fino ad arrivare all’ultimo pezzo, Tu dove sei, più che un titolo, un interrogativo: esiste la donna ideale? Realizzeremo i nostri sogni? Non ci viene data una risposta, il finale tocca a noi scriverlo.

Nel complesso, non possiamo parlare di un disco di innovazione sperimentale da far “strabuzzare le orecchie”, ma piacevole da ascoltare, con un ritmo incalzante e diversi slanci di personalità.

Le possibilità di successo ci sono, sia per il suo essere così “popolare”, potenzialmente apprezzabile da un pubblico molto vasto, sia perché si inquadra alla perfezione in una stagione molto fortunata per il genere.