Review

Gorillaz, “Humanz” (Parlophone/ Warner Bros. Records)

50 minuti per la Standard Edition, 20 tracce ed una deluxe da 26 tracce.

Questo il formato in cui si presenta “Humanz”, quinto lavoro dell’eclittica band che  ha una formazione così nomade da essere una scelta obbligata quella dei featuring.
Numerosi quelli presenti in quest’album, prodotto da Gorillaz,The Twilite Tone, Remi Kabaka Jr.Fraser T Smith per Parlophone e Warner Bros.
Dopo il primo ascolto si resta spiazzati, effetto forse ricercato, una scossa imposta dall’ansia di innovarsi rispetto ai successi precedenti, i primi in particolare.
Al secondo ascolto si arriva a dei dubbi ed a qualche certezza.
Al terzo si apre il laptop e si scrive.
Il disco contiene un EP ed un ammasso informe.
Il primo è quello fedelmente a firma Damon Albarn, non solo per la sua presenza vocale nella maggior parte dei brani che si possono salvare nella presuntuosa divisione del bene dal male.
“Andromeda”, “Busted and Blue”, “Strobelite”,”Sex Murder Party” e “She’s My Collar” in qualche misura, “Hallelujah Money” col sontuoso Benjamine Clementine, “We got the Power” ed infine “The Apprentice”.

Contaminazione e ricerca, sperimentazione e tradizione sono ben strutturati, mescolati, distrutti e ricomposti in molti di questi brani, Damon si dimostra come pochi altri futurista e futuribile, ma allo stesso tempo legato a quello stile che emerge nella ballad “Busted and Blue”.
Impossibile smettere di ascoltare “Andromeda” feat. D.R.A.M., che trasmette una serie di immagini nella mente ogni volta nuove e terribilmente afferrabili, così come non ballare con “Strobelite”, base disco80 e voce stile house ’90 from Peven Everett.

8 tracce che possono essere assunte a paradigma di come fare musica con tutti gli strumenti digitali a disposizione nel 2017 e di come spingersi oltre senza sconfinare nell’eccesso, nel fastidioso.

Appunto.
Il resto del disco suscita un turbinio di fastidi e skip.
Gli skip sono dati dall’impressionante sequela di brani praticamente identici per destrutturazione, ossessività ( qualcuno aiuti Popcaan e, se può, provveda anche a far sparire “Charge” da ogni dove) ed utilizzo di suoni molesti e completamente dissestati dal contesto.
Il fastidio nasce dal dubbio che tutto ciò sia stato fatto per inseguire nel mercato la fetta più trainante e cospicua del momento, quella disegnata dai vari Ocean, Drake e  Lamar.
Doverosa la ricerca, va bene l’avanguardia, ma non si può fare musica senza un minimo di melodia o suono. Che lo facciano alcuni non significa che debbano scimmiottarli tutti, Vince Staples renderebbe indigesta anche la camomilla con “Ascension”.
Ottenere molto con poco, questo infastidisce più di ogni altra cosa di brani che strizzano l’occhio alla rave music come “Momentz”.
Tuttavia, come in ogni album così discusso, controverso e divisivo soltanto il tempo dirà la verità, giocando d’anticipo si può dire che a pochi ne resterà il ricordo, forse più agli addetti ai lavori.

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