Live Session

“La musica romana è ‘na cosa seria”: Schola Romana live a Tea@TotoSound

Si comincia col parlare di una live session e si finisce con l’importanza della ricerca nella canzone popolare romana. Questi sono gli argomenti-chiave della chiacchierata tra me e Davide Trebbi, frontman e fondatore di Schola Romana, gli ultimi protagonisti di Tea@TotoSound.

Un’esperienza mai vissuta  – mi dice subito Davide -, in Italia è la prima volta che sento parlare di questa iniziativa. Inoltre i silent concert di solito riguardano la musica elettronica/dance“.  Un’esperienza unica, che diventa un vantaggio anche per il pubblico, di solito molto distratto se si suona in un locale (“e a Roma soprattutto, se t’ascoltano è un miracolo!” aggiunge ridendo Davide). L’entusiasmo di Schola Romana è alto, Davide ha anche ben pensato di estendere l’invito a dei bambini. E anche loro pare abbiano gradito parecchio questa formula di “nuova” fruizione della musica dal vivo.

La qualità della musica durante una sessione in uno studio registrazione è sicuramente un’altra storia. Davide ne è certo e afferma che non lo è solo per i musicisti, ma anche per gli ascoltatori “perché vanno messi in condizione di fare il pubblico, cosa che spesso non accade. Più tu suoni ad alto volume, più loro strillano e nessuno alla fine capisce nulla“. In generale Schola Romana predilige location che si avvicinano a questo concetto, come teatri o locali in cui si mangia. Luoghi, in sostanza, dove la musica ritorna ad essere più centrale.

Per partecipare a una domenica negli studi di TotoSound Records, secondo Davide devi essere o matto o ben preparato. Perché suonare in cuffia richiede massima definizione e massima attenzione, quindi devi essere tecnicamente perfetto“.

Confessa che è una goduria diversa rispetto a un classico live, sicuramente si è più rigidi, ma la soddisfazione per la professionalità è tanta. E ritorna a sottolineare che chi ascolta forse gode più dei musicisti, perché nessuno è più abituato ad ascoltare bene la musica, tecnicamente parlando. “Fare un disco non è esattamente divertente – dice Davide -, tutto va eseguito con precisione, però poi sei grato di aver fatto un lavoro ineccepibile. Se ti senti bene anche l’anima si sente bene“.

Schola Romana ha approfittato subito della richiesta da parte di Toto Giornelli, che conoscono bene anche come musicista (Davide mi dice che è anche direttore artistico e lo ha “ospitato” più volte). Perché era sicuramente un modo per far ascoltare “Storie di ogni ora“, ultimo lavoro della band, in maniera diversa prima delle due date del 20/21 aprile all’Artin Club in occasione del Natale di Roma. E con l’occasione è stato estrapolato da quella domenica tra pasticcini e musica “La guerra de li poveracci“:

La band nasce diversi anni fa da un’idea di Davide Trebbi (voce, chitarra, armonica) e Edoardo Petretti (pianoforte, armonica, voce). All’inizio erano in quattro (due cantautori e due musicisti), col tempo si è aggiunto il quinto membro. Ora sono diventati come li conosciamo adesso insieme a Stefano Ciuffi (chitarre), Ivano Sferrazza (basso) e Luca Monaldi (batteria).

Perché “Schola romana”? “Il nome latino ti dà un’idea di tradizione di base – mi spiega Davide –, della ‘schola ‘d’altri tempi. E tra l’altro in romano si dice anche ‘scola’! ‘Romana’ perché è concentrata esclusivamente su Roma, sull’idea del tradizionale, dell’originario che riguarda la città”.

Che poi è quello che facciamo con la band – continua -, ricerca e musica inedita. In più è un nome che suona bene, rimane impresso e ha una giusta lunghezza. Era anche un modo per discostarsi dalla classica scuola romana cantautoriale dei ’70/’60 e riferirsi a qualcosa di più arcaico. Perché tra i cantautori romani, a parte Antonello Venditti, quasi nessuno scrive/ha scritto in questi termini di Roma“.

La musica popolare romana è stata rivisitata in diverse chiavi, mi vengono in mente progetti come Il Muro del Canto, gli Ardecore, per citarne alcuni. Chiedo a Davide se Schola Romana e gli altri artisti scorrono su binari che sono paralleli oppure si intersecano e vanno verso un comune intento.

Gli Ardecore sono simili a noi, scrivono pezzi loro, rivisitano un repertorio che non è quello che preferisco, sebbene li apprezzi molto come artisti. Il Muro del Canto fa solo pezzi inediti e molto concentrati sul sociale, hanno un approccio combat-folk alla Modena City Ramblers abbinato al dialetto romano. Non so se abbiamo un comune intento, noi riproponiamo altri tipi di pezzi. Ad esempio parliamo della Repubblica romana, ‘La guerra de li poveracci’ invece è attuale, è un affresco di piazza Navona ai giorni nostri, ‘Lamerica‘ rimanda a ‘La scoperta dell’America‘ di Cesare Pascarella“. Si può dire che quella di Schola Romana è, rispetto agli altri,  un’attenzione socio-politica più “storica” che di denuncia sociale.

L’intento di Schola Romana è quello di fare musica popolare usando il dialetto non in modo superficiale, ma con uno scopo che ha dietro una certa ricerca. “Il dialetto ti porta inequivocabilmente a indagare nel passato – afferma convinto Davide -, è interessante scoprirne la storia radicata e il perché dietro determinate terminologie. Sentire per esempio la canzone di Luca BarbarossaPassame er sale’ mi fa pensare a un’ennesima occasione mancata, dove il dialetto è usato a fini pop e non per rievocare tradizione e ricordo allo scopo di ‘spronare’ i tempi moderni. La lingua riflette il popolo, Roma non è solo un linguaggio da osteria estemporanea, è una città dalla storia secolare e bisogna avere nei suoi confronti un approccio da ‘viticoltore di Borgogna’“. Perché la musica, soprattutto quella romana, come dice bene Schola Romana, “è ‘na cosa seria”.