Review

Levante, “Nel Caos di Stanze Stupefacenti”, (Carosello Records)

Il 7 aprile è uscito il terzo lavoro discografico di Claudia Lagona, in arte Levante, classe 87 e nessun bisogno di presentazioni.

Dopo due anni dal fortunato “Abbi cura di te”, la cantante siciliana non delude assolutamente le aspettative, con un nuovo album che evidenzia appieno la sua crescita come artista e come donna. Dimenticatevi però i suoi tradizionali toni cantautorali per i quali, in passato, è stata spesso accostata alla sua conterranea Carmen Consoli; ciò che troviamo in “Nel Caos di Stanze Stupefacenti” è una sonorità più articolata e complessa, con una ritmica estremamente marcata grazie anche alla nuova collaborazione con Antonio Filippelli. La batteria è potente, il piano armonioso, la voce energica, per un suono capace di arrivare dritto in faccia all’ascoltatore e ritornelli che ti si appiccicano in testa. La prima traccia “Caos (preludio)” è come un ponte tra la vecchia Levante e la sua nuova svolta che potrebbe sembrare pop ma è un pop accorto, studiato e pieno di carattere, nel quale, anche ciò che potrebbe sembrare scontato e casuale, in realtà non lo è. Le dodici tracce del disco racchiudono un ampissimo spettro di emozioni nel quale Levante prima affonda le mani e poi ci si immerge completamente, con il coraggio e il desiderio di osare che l’hanno sempre contraddistinta. È una donna ferita, “caduta”, esattamente come ci mostra nella copertina dell’album, ma pronta a combattere perchè, solo prendendo lo slancio dal fondo ci si può rialzare, più forti di prima. Con “Le mie mille me”, traccia dal titolo estremamente emblematico,  Levante ci rivela che, in questo disco, troviamo tutta sé stessa, tutte le sfumature del suo ego, protagonista assoluto dell’album. Troviamo la sua rabbia e il suo rancore in “Gesù Cristo Sono Io”, la sua cocente delusione per promesse disattese in “Io Ti Maledico” (forse il brano più cantautorale), un nostalgico sguardo al passato in “1996 La Stagione del Rumore” che sorprende con suggestioni rap tipiche degli anni ’90, anche se, a tratti, dalla scrittura un po’ prevedibile. “Diamante”, “Io Ero Io” e “Sentivo le Ali” lasciano spazio alla parte più dolce, malinconica e delicatamente disillusa della cantante mentre “Pezzo di Me”, nato dalla collaborazione con Max Gazzè, è il brano più pop e “scanzonato” dell’album, con ritornelli orecchiabili ma rime forse a volte un tantino scontate. Non manca poi la critica sociale: “Santa Rosalia”, con la delicatezza di una filastrocca infantile (“Rosa o blu dai un bacio a chi vuoi tu”) racconta l’amore svincolato dal pregiudizio, il libero arbitrio come una scelta di vita, l’omosessualità per ciò che è, una cosa semplice e naturale. Il singolo che ha anticipato l’uscita del disco, “Non Me Ne Frega Niente”, invece, rappresenta una forte critica in chiave ironica verso i social network, strumenti millantatori di una partecipazione che, in realtà, non esiste: ci illudiamo di prendere parte a ciò che accade, magari perchè condividiamo un post su Facebook ma, quando si tratta di compiere azioni concrete nel mondo al di qua dello schermo, prevalgono pigrizia, paura e disinteresse. L’album si conclude con “Di Tua Bontà”, brano nel quale Levante mette tutta la sua forza passionale di donna che, dopo essere affondata nel dolore, è riuscita a dominarlo ma ancora si chiede “che cosa ho fatto di male per meritarmi questa fame di te?”

Dodici tracce, ognuna con il proprio stile, ognuna con il proprio sentire ma che, in modo corale, danno forma a quello che, più che un disco, è il tentativo di esorcizzare, con energia, rabbia e aggressività, la fine di un amore.

Attraverso il caos e il disordine, Levante si perde per poi ritrovarsi, forse più forte, si, ma con qualche cicatrice in più e con la voglia di temporeggiare ancora un po’ “giù dalla poltrona”.

Anche questo è crescere.