Review

E shoegaze sia… [12] Marzo, oltre la pazzia. Sonici vortici e promettenti rumori.

Per fortuna, nonostante le tribolazioni quotidiane, la musica conforta e assiste e, cosa ancor più soddisfacente, lo fa proponendo artisti e progetti di tutto rispetto.

Questo mese andiamo un pò di miscellanea perchè c’è un pò di robetta piuttosto interessante che merita giusto riguardo.

Restando nei patri confini vi proporrei subito il singolo di una band da tenere in bella considerazione.

Da Firenze i We Melt Chocolate, si incanalano subito, e a giusta ragione direi, nel solco dello shoegaze più puro e duro e pertanto trovano degno spazio nella cosiddetta corrente italogaze.

Everyjoy è un brano che non tradisce gli amanti del genere: chitarre soniche, basso ben definito e la voce di Vanessa che tesse trame oniriche e riverberate sulla stregua di Fauns e Seasurfer.

Brano che esplode per poi quietarsi alternando sapientemente momenti pop a quelli piu noise. Da ascoltare a volume alto.

La questione inizia a farsi ancora più rumorosa perchè è uscito il primo singolo del nuovo album dei Rev Rev Rev.

Il quartetto modenese, ormai vera punta di diamante italica all’estero, anticipa con Clutching The Blade, il nuovo album chiamato Kykeon.

Le mie orecchie sanguinano dopo l’attacco selvaggio delle chitarre iper noise di Seba affogate in un mare di fuzz mentre la straniata voce di laura traccia linee desolanti. Pezzo immane che distruggerà le casse. Impaziente per l’album mi dichiaro già da ora.

 

Per finire, ma non ultimi, un gradito ritorno sebbene sotto altre spoglie.

Beyond These Mountains è il primo album, autoprodotto, di tre quarti dei mai rimpianti abbastanza Kimono Lights, adesso Onioroshi

I tre superstiti, Enrico, Manuel e Matteo, virano stavolta verso un sound più scuro, cadenzato e psichedelico, quasi evocativo e a tratti inquietante. Devilgratrer è una marcia da giorno del giudizio, marziale e vorticosa.

Quattordici minuti di elucubrazioni soniche devote a divinità quali Tool e Motorpsycho, ma che di proprio hanno più leggerezza. Locusta, altri dieci minuti di scorticamenti psycho, è più acidula, più 70’s per certi versi, ma viaggia bene e non ha particolari momenti morti.

Chiude tutto Socrate che, sorretta da una voce malata e distorta, pare venire da uno stereo di quaranta anni fa; citando Iron Butterfly, Blues Magoos e i mitici Blue Cheer. Poi, all’improvviso accade qualcosa che non vi dirò.

Sono stranito, ma in senso buono. Sono colpito e mi aspetto ottimi riscontri da questo lavoro che apre un varco importante in Italia per originalità e coraggio.

 

E Shoegaze sia… di Dario Torre