Review

|Review| Orde di brave figlie, Simona Norato (Ala Bianca, 2018)

Sicuramente c’è un alta percentuale di follia per uscire con un disco di questo tipo a settembre 2018.

Già perché prima di parlare del nuovo disco di Simona Norato e di  “Orde di Brave Figlie” è bene ribadire un concetto: in Italia c’è poco spazio per tutti quei progetti che si distaccano troppo dal cosiddetto Indie italiano.

Un vero proprio movimento culturale e politico dove i vari Calcutta e Tommaso Paradiso sono i leader indiscussi, dove synth e programmi di post produzione rubano la scena agli strumenti tradizionali e i testi delle canzoni meglio farli semplici, ripetitivi, a volte vuoti… tanto è solo il ritornello che conta.

La presenza sui social poi è prioritaria: puoi anche produrre un disco con zero musica all’interno, basta che prenda i like.

In questo scenario, per certi versi apocalittico e distopico, subentra sulla scena Simona Norato artista eclettica, palermitana D.O.C. in perenne direzione ostinata e contraria.

Sulla scena musicale da oltre dieci anni, vanta  diverse collaborazioni, troppe per elencarle tutte in un solo articolo. Nel 2014 arriva la definitiva svolta solista: mette insieme una manciata di canzoni e compone “La fine del Mondo” ed esce per la nuova etichetta siciliana indipendente I dischi della Fionda. Un disco intimo e multiforme che spazia dal rock al folk alla new wave anni ’80 senza mai dimenticare la canzone d’autore.

Al disco segue un tour nel 2016. Poi ancora altre collaborazioni tra le quali mi piace ricordare quella con la band  toscana post punk SKOM che le chiede di produrre parte del nuovo disco “Chi odi sei” e le affida la riscrittura in siciliano e l’interpretazione di due brani, ‘Nuddu ca veni’ e ‘Arpìe’.

Orde di brave figlie è l’ultimo progetto in studio di Simona Norato, uscito il 21 settembre per Ala Bianca. Otto  canzoni intense, piene di significato nei testi e arrangiamenti perfetti – quasi maniacali –  che accompagnano una voce che parla di relazioni e sentimenti complessi senza tralasciare l’attualità politica. 

Il disco parte proprio da questo. La prima traccia si intitola  Un solo grande partito e di fatto prende ispirazione da 1984 di Orwell. Stralci di questo  romanzo distopico – creato dalla mente dello scrittore britannico tra il 1948 e il 1949 –  vengono riproposti in musica con archi, fiati e cori rendendolo il pezzo più attuale del disco, in un’Europa dove le derive fasciste e autoritarie sono più vive che mai.

La seconda traccia  – Chirurgia del tavolo” – è una ballata struggente che avrebbe potuto rendere tranquillamente anche solo con voce e piano. Invece è piena di suoni e cori che rafforzano il pathos voluto dalla voce di Simona. Scegli me tra i Bisonti è invece un’esperienza mistica che porta l’ascoltatore verso terre lontane, così come Avremo una casa nella prateriache però ha più il sapore di una dichiarazione d’amore.

La traccia numero 5 è un brano strumentale, Orcaferone, che taglia in due il disco e spiana la strada per una traccia blues – Ci Chiederanno – che ricorda un po’  PJ Harvey del perido Let England Shake. La title track Orde di brave figlie racchiude l’essenza del disco: “Io sono una signora, una per cui la guerra è finita“. Parafrasi della Bertè a parte, il brano evidenzia l’accettazione della propria condizione privata e sociale. Di tutto il disco è il brano con le sfumature più vicine al rock e mi ricorda Ben Harper per la parte strumentale e gli arrangiamenti.

Palastramu” è il secondo brano strumentale impreziosito dalla linea vocale della Norato e dal suo pianoforte: starebbe benissimo nella colonna sonora di qualche film minimalista alla Yann Tiersen. Il disco finisce con  Questo universo spione con una pioggia di sottofondo, un piano e – a mio avviso – la migliore voce della Norato (che nella seconda parte lascia spazio ad una voce più giovane, quasi fanciullesca) per un testo eccellente nella sua tristezza e malinconia.

Orde di Brave figlie è un ottimo disco, non facile da ascoltare tutto d’un fiato lo ammetto, ma bello nella sua complessità e ricchezza. Basti pensare che in sala registrazione sono entrati 11 diversi musicisti e circa 20 strumenti per incidere questo disco folle, quasi anacronistico e sicuramente poco mainstream.

di Damiano Sabuzi Giuliani