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|Review| “Synchronizer”, i Piqued Jacks e il rock del futuro

Synchronizer è il terzo album dei Piqued Jacks. Un lavoro ricco di sfumature, linfa vitale per il rock del futuro.

Il terzo lavoro dei Piqued Jacks è talmente ricco di sfumature e sonorità che è impossibile da catalogare. Ma una cosa è certa: se il rock ha ancora un futuro davanti questo è anche grazie a gruppi come gli italiani PJ che riescono a fondere  elementi funk, alt rock raffinato e pulito, chitarre ruvide e distorte e un ponderato uso di suoni sintetici.

A questo si aggiunga l’intimità del pianoforte e la capacità di adattare i testi ai suoni (e viceversa).

Senza dover per forza stupire, Synchronizer si presenta come un disco pieno e talvolta complesso, certamente ben suonato e cantato.

Un po’ scontate le canzoni più lente e sentimentali come Call My Name o Mysterious Equations, il disco presenta vere chicche come la ballereccia traccia in base funk Purgatory Low  o l’abrasiva Golden Mine che apre il disco.

Ci sono poi canzoni che sembrano essere prodotte con il freno a mano come Elephant e Lonely Hearts, CozyHut che potevano essere decisamente più esplosive e sorprendenti, ma la scelta è andata nella direzione di maggiore godibilità e ascoltabilità (di fatto i 2 pezzi più pop e ci sta).

Ricordano un po’ i Muse delle origini, questi Piqued Jacks, quando la band di Matthew Bellamy, ancora alla ricerca di un’identità marcata, inseriva nei propri lavori diversi elementi tra ricerca e sperimentazione.

Nel complesso è un lavoro brillante e salace al punto giusto.

Bravi Piqued Jacks, tenete alta la bandiera della musica italiana anche all’estero…e al diavolo la “musica leggerissima”!

di Damiano Sabuzi Giuliani