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WAREHOUSE: canzoni, storie e classici dimenticati [18]

«Un colpo solo. Non c’è che un colpo solo». Nonostante risalga, probabilmente, al tramonto del regime zarista, il famigerato gioco della roulette russa deve molto della sua diffusione nell’immaginario collettivo a un’indimenticabile sequenza de Il Cacciatore, capolavoro di Michael Cimino premiato con 5 Oscar nel 1979, in cui gli orrori del Vietnam diventano un displuvio cruciale nel tracciare una netta linea di demarcazione tra prima e dopo, leggerezza e trauma, vita e morte. Una visione ripresa, a stretto giro, da un altro dei massimi esponenti della New Hollywood, Francis Ford Coppola, in Apocalypse Now, soprattutto nell’epico conflitto tutto morale tra il capitano Willard e il colonnello Kurtz.

Si tratta, ovviamente, di due pietre miliari del cinema che hanno segnato in modo indelebile la cultura pop, tanto da ossessionare chi, nel corso della sua vita, ha sempre amato giocare metaforicamente alla roulette russa, uscendone miracolosamente illeso. Almeno fino al 3 giugno del 1990, giorno in cui il destino ha presentato il conto nel modo più beffardo, palesandosi sotto forma di un taxi parigino fuori controllo.

Lui è Stiv Bators, figura già sfiorata con i Dead Boys, incarnazione del lato più selvaggio – ma paradossalmente anche più raffinato – della prima ondata del punk americano generata dai Ramones.

Provenienti da Cleveland, Ohio, furono tra i grandi protagonisti dell’epopea del CBGB di New York, guadagnandosi la fama di degni eredi degli Stooges, ma bruciarono in fretta.

Appena due album in studio tra il ’77 e il ’78 (il capolavoro Young, Loud And Snotty e We Have Come For Your Children) e il live Night Of The Living Dead Boys, prima dello scioglimento che porterà il cantante a tentare l’avventura solista nel segno di un sorprendente power pop (Disconnected, 1980).

Si tratta, però, di una breve parentesi, una rapida incursione in sonorità apparentemente distanti dalla sua figura di sick boy, in attesa di inaugurare un nuovo culto tutto underground con cui rievocare i rituali di Bowery Street.

Galeotta la sortita in Inghilterra, dove, dopo aver messo su un progetto estemporaneo con gli Sham 69 orfani di Jimmy Pursey (The Wanderers), legherà il suo nome a un altro anti-eroe del punk britannico: Brian James, ex chitarrista dei Damned, primi a diffondere, con il singolo New Rose, quel verbo preso in prestito oltreoceano e divenuto un autentico movimento reazionario negli anni pre-thatcherismo. Furono anche i primi a pubblicare un intero disco (Damned Damned Damned, sempre nell’annus mirabilis 1977) e i primi ad andare in tour negli States, aspetti che vanno ben oltre i dati statistici.

Poco da fare: se il punk è arrivato in Inghilterra, il merito è soprattutto dei Damned, vertice più teatrale e squisitamente rock’n’roll della sacra triade completata da Clash e Sex Pistols.

Confermato l’ex bassista degli Sham 69, Dave Tregunna, e reclutato Nicky Turner (The Barracudas) alla batteria, l’unione darà vita a una sorta di supergruppo destinato a divenire una delle esperienze più oscure e suggestive di tutti gli anni ’80: The Lords Of The New Church.

Eppure, nonostante l’evidente background, nella loro musica il punk sarà soltanto il detonatore con cui inserirsi in quel varco spazio-temporale, ormai sempre più rivolto al futuro, alimentato dalle innumerevoli ramificazioni del post-punk e della new wave: dal goth al synth pop, passando persino dal new romantic.

Quella sperimentata sull’omonimo debut del 1982 è così una formula evoluta, che proietta il nichilismo no future in un universo tenebroso dominato da synth, ritmiche tribali e insospettabili aperture melodiche, catchy quanto basta per ambire a un posto nelle charts.

Significative, in tal senso, il manifesto New Church e Open Your Eyes, potenziale hit dai risvolti politici che trasforma i Lords of the New Church in una versione malata e fatalista dei Duran Duran sotto anfetamina.

Fatalismo al centro dell’altro singolo, Russian Roulette, sensuale ballad dai continui rimandi cinematografici (I’m living out Frank Coppola’s dreams/Outta my mind, I’m feelin’ mean) in cui è la chitarra al napalm di James a recuperare i legami con un passato mai dimenticato. La temperatura sale poi vertiginosamente con il garage epilettico di Question Of Temperature (incendiaria cover di un classico dei Balloon Farm), l’omaggio ai padri putativi New York Dolls di Li’l Boys Play With Dolls e le visioni apocalittiche di Apocalypso.

Sono questi i principali punti di contatto con la furia degli esordi, avvolta da uno spleen cupo e decadente di chiara matrice dark in Livin’ On Livin’, dominata dal basso tipicamente post-punk di Tregunna, e nel convulso proto-industrial di Portobello e della conclusiva Holy War, spinta da un incedere propulsivo dissonante à la Killing Joke.

Pur senza impressionare in classifica, i riscontri comunque positivi dell’album consentiranno ai Lords Of The New Church di imbarcarsi in un tour americano che farà guadagnare alla band lo status di live act esplosivo, grazie anche alle trovate granguignolesche del frontman, quasi strangolato dalla corda del microfono durante uno dei soliti atti di autolesionismo estremi.

Archiviata la tournée oltreoceano, Bators e compagni sconsacreranno definitivamente l’altare del punk ampliando le tentazioni disco nel successivo Is Nothing Sacred? (1983), trascinato nel torbido dall’altra quasi hit Dance With Me, per poi recuperare parte di certi istinti primordiali in The Method To Our Madness (1984), prodotto da un guru hard’n’heavy come Chris Tsangarides.

Si tratta dell’ultimo capitolo in studio di una saga arricchita successivamente dalla raccolta Killer Lords (1985), contenente una delirante cover di Like A Virgin di Madonna, e da Live At The Spit (1988), fedele testimonianza delle scorribande americane di inizio carriera, pubblicata un anno prima dello scioglimento.

Alla scomparsa di Bators, seguirà una fugace reunion voluta da James e Tregunna nei primi anni 2000 (Hang On), mentre è storia recente la partecipazione di una nuova line-up (con l’ex Hanoi Rocks Michael Monroe al microfono) al Vive Le Rock Awards nel 2022.

Non sarà paragonabile alla danza della fertilità del Marquee ma, in tempi di eighties revival compulsivo, potrebbe bastare a riaccendere i riflettori su  un altro culto sotterraneo mai abbastanza celebrato: l’incantesimo, tra bondage e voodoo, della nuova chiesa del (post) punk.

Join the new church.

di Francesco Sacco